Giovanni Battista Piamarta

L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 12 Ottobre 1997


Giovanni Battista Piamarta,


presbitero, fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth


 


Un ministero fondato sull’amore


PIER GIORDANO CABRA


Giovanni Battista Piamarta nasce a Brescia nel 1841. Rimasto presto orfano di mamma, viene educato cristianamente nell’oratorio S. Tommaso: sono i tempi arroventati delle «dieci giornate di Brescia» e delle sanguinose battaglie di San Martino e Solferino. Sono anche i tempi di grande povertà del popolo, di epidemie, di grandi passioni patriottiche e di forti contrapposizioni politiche, dei primi tentativi di industrializzazione. Sono anche i tempi di vivace carità cristiana, frutto della radicata religiosità della gente bresciana.

Il giovane Piamarta entra in seminario a diciannove anni e, una volta ordinato presbitero a ventiquattro anni, viene inviato nelle parrocchie rurali di Carzago Riviera e di Bedizzole, dove si distingue subito per la convinta dedizione alla catechesi e alla causa dei giovani. Trasferito nella parrocchia cittadina di S. Alessandro, si dedica anima e corpo alla crescita di un fiorentissimo oratorio. Ed è qui che, colpito dalle condizioni della gioventù più povera, matura un ardito progetto per preparare i suoi ragazzi a diventare i costruttori del proprio futuro, grazie alla competenza nel lavoro e grazie al senso di responsabilità verso la propria famiglia e verso la società. Con il consiglio determinante di Monsignor Pietro Capretti, uno degli uomini più illuminati della Chiesa bresciana e dopo una breve parentesi come parroco a Pavone Mella, nel 1886 dà inizio all’Istituto Artigianelli.

Attraversando difficoltà di ogni tipo, egli impianta laboratori ed officine per le diverse specializzazioni, prepara ambienti per ospitare centinaia di giovani, raduna collaboratori laici, condivide la vita dei suoi ragazzi come un padre, insegna loro a diventare uomini attraverso il duro tirocinio del lavoro e l’acquisizione di un carattere forte, motivato e sostenuto da una solida formazione religiosa, ispirata alla visione serena e gioiosa di S. Filippo Neri. La città resta sorpresa dei risultati. I giornali scrivono che non soltanto i migliori artigiani, ma anche la maggioranza dei dirigenti industriali «sono usciti dall’Istituto Artigianelli». Eppure, nonostante il molto lavoro, l’umile prete bresciano sente che dovrebbe interessarsi anche dei giovani che stanno abbandonando le campagne, emigrando in cerca di fortuna nelle città e, persino, nelle lontane Americhe. Assieme ad un valente agronomo, il sacerdote Giovanni Bonsignori, dà origine alla Colonia Agricola di Remedello, dove vengono insegnati metodi innovativi che aumentano considerevolmente la produttività del terreno. La nuova scuola diventa un punto di riferimento per un numero crescente di agricoltori di tutta Italia, grazie anche agli scritti diffusissimi di Padre Bonsignori.


Per rafforzare la sua opera educativa dà inizio all’Editrice Queriniana, assai attiva sul piano della catechesi e della letteratura religiosa e teologica. Nel 1902 il vescovo di Brescia riconosce la Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth da lui fondata. Il titolo dice la devozione di Padre Piamarta alla Sacra Famiglia, ma soprattutto manifesta il suo programma di dare inizio e di formare un gruppo di persone che lo coltivino spirito di famiglia, che sappiano educare alla famiglia, attraverso un clima di accoglienza e di fiducia, che propongano a tutti il modello della Famiglia di Nazareth. Qualche anno dopo, sarà approvata anche la Congregazione femminile delle Umili Serve del Signore, fondata assieme alla madre Elisa Baldo.


Muore santamente il 25 aprile 1913, nella Colonia Agricola di Remedello, pianto come un padre, come un benefattore, come un santo.


Fin dai primi anni del suo ministero sacerdotale Padre Piamarta ha attirato l’attenzione per la sua vita di preghiera, per il suo amore ai poveri e ai sofferenti, per la dedizione incondizionata al suo ministero sacerdotale. Quando il suo lavoro si fece intensissimo, a causa delle sue fondazioni, a chi gli domandava come potesse resistere a tanta fatica e a tante preoccupazioni, rispondeva candidamente: «Se io non facessi due-tre ore di orazione ogni mattina, non potrei portare il peso che il buon Dio mi ha imposto». La sua è stata chiamata una «santità sociale», per l’attenzione intelligente e creativa ai bisogni della gioventù posta di fronte alle sfide della nuova società, una santità permeata da una «mistica del servizio», da una incondizionata dedizione ad una attività logorante, che gli procurava «triboli e spine» di ogni genere. La sua tenacia, unita alla profonda spiritualità, ha mostrato come l’amore di Dio possa alimentare un serio e costante amore per l’uomo, come il «divinum» sostenga e alimenti anche l’«humanum», come la «Pietas» sia il fondamento del «Labor». I suoi giovani non avevano dubbio che il loro «Padre» fosse un santo: lo sentivano vicino a loro anche quando esigeva l’adempimento dei loro doveri. Lo sentivano un padre, anche perché stava il più possibile con loro. Nella celebrazione della Santa Messa «si trasfigurava»: è una testimonianza frequentissima. La sua predicazione era semplice, diretta, convincente, capace di toccare il cuore, frutto di intensa e orante meditazione.


A chi gli faceva notare i grandi risultati della sua opera, rispondeva d’essere solo di ostacolo all’azione della Provvidenza. E alla Provvidenza si è sempre affidato con incrollabile fiducia: lui povero e senza appoggi ha potuto realizzare grandi opere, grazie all’abbandono alla Provvidenza.


Alla quale ha sempre chiesto molto e dalla quale ha ricevuto tutto. Tutto per i suoi giovani. Per questo ha lasciato in eredità ai suoi continuatori la raccomandazione vivissima di coltivare al massimo grado la virtù della gratitudine verso la Provvidenza e verso i benefattori, che ne sono gli strumenti. Si sentiva molto vicino allo spirito di S. Paolo, ch’egli citava continuamente e del quale voleva riprodurre l’amore per Cristo e lo zelo apostolico.


È stato un ardente sostenitore della devozione al Sacro Cuore e un «innamorato della Vergine Maria», specie della Immacolata Concezione. Padre Piamarta fu sempre considerato un grande e illuminato apostolo della gioventù.


Sia agli «Artigianelli» che alla « Colonia Agricola», egli manifesta d’aver compreso la direzione della storia, vale a dire la direzione verso la quale stava incamminandosi la nuova società e, di conseguenza, quali fossero le nuove esigenze della presenza cristiana. Egli comprende che la sua missione consisteva nel prendersi cura dei giovani, del mondo del lavoro e della famiglia: sono i tre pilastri della sua prodigiosa attività.


Per i giovani egli ha sempre lavorato con tutte le sue energie, prima negli oratori, poi nei suoi istituti, dove ha portato avanti il suo stile educativo, teso a farne dei «bravi artisti, dei buoni cittadini, degli ottimi cristiani».


Per il mondo del lavoro egli si adopera non solo per fare del lavoro non uno strumento di autopromozione, ma soprattutto per farlo diventare un mezzo educativo, per sviluppare le potenzialità del giovane e per dargli il senso della sua dignità, grazie alle possibilità di partecipare allo sviluppo della società.


Per la famiglia Padre Piamarta manifesta più volte la convinzione della sua centralità per la vita del singolo e per la società: «Quando la vita del povero — scrive — sarà riformata per mezzo della educazione cristiana dell’artigiano e dell’agricoltore, allora la società sarà ricostruita e risanata in massima parte». L’educazione alla famiglia ha un posto di rilievo nella sua attività.


Insistente è il suo richiamo al modello della Santa Famiglia di Nazareth: la quale è una famiglia dove si lavora, dove il Figlio di Dio è cresciuto lavorando manualmente, dove il lavoro ha assunto la massima dignità. Così la Santa Famiglia è diventata il nucleo centrale del suo cuore di apostolo. Di lui il Vescovo di Cremona Monsignor Bonomelli, che era stato suo professore, ebbe a dire: «quanti prodigi di carità, di prudenza, di destrezza, di zelo, veramente cristiano, ci ha mostrato nel corso di mezzo secolo di vita generosissima. Egli è il sacerdote che richiedono i tempi nuovi: non curante di sé, solo attento al bene altrui senza distinzione».



La grande attualità di un insegnamento


di ENZO TURRICENI


Superiore Generale della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth


Con la beatificazione di Padre Giovanni Piamarta, il 12 ottobre, la Chiesa ci assicura del suo stato di comunione eterna con Dio nella gloria dei santi e lo propone come modello per il nostro tempo. Qual è, dunque, la sua attualità? La prima caratteristica che emerge dalla sua biografia, ai suoi scritti e dalla testimonianza di coloro che l’hanno conosciuto, è che Padre Piamarta agisce e si manifesta come un uomo che appartiene integralmente al Signore, «come l’uomo di Dio, il sacerdote interamente e sempre e dovunque proteso alla diffusione del suo Regno, come il pastore zelante e ardente, pronto alle lunghe ore di preghiera davanti al tabernacolo ed alle vigorose battaglie apostoliche (…)». La sua personalità si costruisce fin da bambino in un’adesione via via più fiduciosa alla «Provvidenza Divina», alla quale affida completamente se stesso e tutti i suoi progetti. Chiede ai suoi continuatori di conservare peculiarmente questo spirito: «Essendo (…) la nostra istituzione sorta mediante una specialissima, per non dire totale, opera della Provvidenza Divina, essa va rigorosamente mantenuta e conservata sempre col pieno intervento suo (…). Noi dobbiamo governarci in ogni cosa e contingenza, con accorto e prudente discernimento come se tutto dipendesse dalla esclusiva nostra industria ed accorgimento, e poi dopo dobbiamo in tutto e per tutto confidare in Dio, come se nulla noi avessimo fatto». E Padre Piamarta, effettivamente, viveva la sua giornata in continua comunione con il Signore, che incontrava fin dal mattino prestissimo in alcune ore di intensa preghiera: «Qui dinanzi all’Eucaristia sento di essere amato. Il Suo amore mi contenta e mi sazia, mi riempie, mi assorbe e mi immerge in un oceano di carità e di giocondità» — lasciava scritto in uno dei suoi appunti più belli. Non c’è persona, tra quelli che ne hanno lasciato testimonianza scritta, che non sia stata colpita, nell’incontro con lui, dalla carica «mistica» che rivelavano le sue parole, sempre incoraggianti, e la sua instancabile attività, tanto intensa da fargli attribuire bonariamente l’epiteto di «don Argento vivo». La sua vita di fede era una sintesi personale particolarmente profonda della spiritualità del clero bresciano del tempo, ma con alcune sottolineature originali, che lo collocano anche oltre quel tempo: una marcata centralità di Cristo, conosciuto e amato soprattutto attraverso le appassionate parole di S. Paolo (che Padre Piamarta citava continuamente negli appunti e nei sermoni) e attraverso la memoria della vita di Gesù, specialmente della sua Passione, una spiccata attenzione alla Bibbia che lo portava a interessarsi da vicino anche alle aperture esegetiche del Padre Curci, una particolare sensibilità liturgica, che gli consentiva di percepire la necessità del rinnovamento, per esempio nell’uso della musica sacra durante le celebrazioni. Questo aspetto di intensità spirituale dava a Piamarta la «parresia» tipica dei santi, portandolo a sostenere coraggiosamente le innumerevoli fatiche delle sue imprese e ad entrare nel cuore dei problemi scottanti del suo tempo, a non darsi tregua nello spendere se stesso come pastore, guida spirituale delle molte anime che ricorrevano a lui. È prima di tutto questa «pietas» che lo rende attuale per il nostro tempo, poverissimo di valori forti, ma proprio perciò ancora più bisognoso di uomini che vivono il Vangelo nella sua esigente radicalità. L’atteggiamento fondamentale di Padre Piamarta si potrebbe anche definire una «mistica del servizio», perché in lui la «pietas» si traduce immediatamente in azioni conseguenti di carità apostolica. È lo stesso amore che, vissuto nella preghiera, non può che riverberarsi nel «labor» della vita, coniugandosi in ammirevole unità alla sua persona. Se nella preghiera gli uomini vengono portati a Dio, nell’azione Dio viene portato agli uomini nella molteplicità delle loro situazioni, in un unico movimento suscitato dallo Spirito Santo che Padre Piamarta vive con la disponibilità di chi sente di attuare una vocazione e non un’opera affidata alle sue deboli forze.


L’attualità di Piamarta nella sua azione apostolica riguarda fondamentalmente tre situazioni che a tutt’oggi mantengono la loro domanda urgente di soccorso evangelico: i giovani, la famiglia, il mondo del lavoro. A partire dalla constatazione che «la coscienza cristiana ha fatto totalmente divorzio dalla società», nel momento storico dei grandi entusiasmi dell’industrializzazione e dei mutamenti altrettanto grandi, generalizzati e pericolosi che essa comportava. Piamarta sente con particolare acutezza il problema della gioventù specie dei «figli del popolo», dei ragazzi delle famiglie più modeste e dei molti senza famiglia che egli aveva incontrato negli oratori, e dei quali era diventato presto una guida ricercata e amata. Intuisce, per dono dello Spirito, che è necessario ricostruire il tessuto cristiano della società dedicandosi a questi giovani, spesso sfruttati e guastati dal contatto con un certo mondo di adulti; intuisce che questo va fatto non con belle esortazioni, ma in maniera concreta e fattiva, aiutandoli a inserirsi nel mondo del lavoro con un’arte e un mestiere (da qui gli «Artigianelli») e ad inserirsi nella nuova società, ponendo come fondamento una educazione umana e cristiana, tale da permettere loro di essere contemporaneamente «buoni cittadini, ottimi cristiani, buoni padri di famiglia». La sfida dell’educazione mantiene oggi la sua urgente attualità. Ancora oggi, i ragazzi di tutto il mondo fanno quasi sempre la parte degli «ultimi», per la loro debolezza, per l’incertezza delle loro situazioni, per il carico di frustrazioni provocato dallo scontro degli ideali con la realtà. Per questo chi oggi fa vera educazione rende ai giovani e alle società un grande servizio. Le intuizioni e la passione educativa di Padre Piamarta, si coniugano alle diverse latitudini dove operano i suoi continuatori: dall’Italia, al Brasile, al Cile, all’Angola. I ragazzi ovunque, pur in contesti diversi, chiedono il pane dell’ascolto, dell’amicizia disinteressata, della formazione a una vita dignitosa. Chiedono di essere educati ai rapporti maturi e sereni. I ragazzi, ancora oggi, sono disponibili alla fede come la viveva Piamarta: come un aspetto determinante della vita e solo dopo questo annunciata e predicata.



Diffusione della sua opera nel mondo di oggi


di GIANFRANCO RANSENIGO


Alla morte di Padre Giovanni Battista Piamarta (1913) i piamartini operavano in due opere fiorenti: l’Istituto Artigianelli a Brescia, e l’Istituto Bonsignori a Remedello Sopra. Il primo per i «piccoli dell’industria», il secondo per i «piccoli dell’agricoltura». Sono opere di promozione umana, di evangelizzazione del mondo del lavoro e che guardano al mondo della cultura. Sono sparse in quattro paesi: Angola, Brasile, Cile e Italia. In Angola, una parrocchia a Lucala, che si appresta a realizzare due centri di formazione professionale, dedicati a Papa Giovanni Paolo II. È semplice elencare la geografia della presenza piamartina in Brasile: a Sâo Bento (nel Maranhâo), a Fortaleza (nel Ceará), a Ponta Grossa (nel Paraná), a Matelandia (nel Paraná), a Unìâo da Vitoria (nel Paraná). In Cile a Santiago e a Talca le più grandi scuole della congregazione piamartina. In Italia: in provincia di Brescia, sei comunità, la curia generalizia, convitti, scuole, una parrocchia, che continuano la tradizione del Fondatore. Vengono quindi le comunità di Milano, Palidano (in provincia di Mantova), Soriasco (in provincia di Pavia), Roseto degli Abruzzi (in provincia di Teramo), Roma, Cecchina (in provincia di Roma), Pontinia (in provincia di Latina).



La miracolosa guarigione di un bambino undicenne


di MASSIMO GANDOLFINI


Il 14 febbraio 1988 uno studente bresciano, Bruno Cocchetti di undici anni e mezzo, veniva investito accidentalmente da un’automobile, riportando grave trauma craniofacciale, con perdita di coscienza immediata. Prontamente soccorso, veniva ricoverato presso gli Spedali Civili di Brescia, nel reparto di Rianimazione. Quando lo visitai le sue condizioni mi apparvero subito gravissime: stato di coma profondo (G.C.S. 3) che richiedeva la ventilazione assistita. Lo studio Tac immediatamente eseguito ed i successivi controlli a qualche ora di distanza documentavano gravi lesioni cerebrali emorragiche, con segni di ipertensione endocranica.


Un intervento chirurgico non avrebbe apportato alcun beneficio. Dopo circa sei ore le condizioni cliniche peggioravano ulteriormente, divenendo disperate, per la presenza di segni di compromissione del tronco encefalico. Era ormai logico attendersi un esito infausto a breve scadenza. A quel tempo ero Aiuto della Clinica Neurochirurgica dell’Università di Brescia e — purtroppo — di casi simili ne avevo visti molti. Volendo semplificare al massimo il problema, due potevano essere le evoluzioni cliniche. O l’exitus o un lento recupero dello stato di coscienza con associate gravi — o gravissime — menomazioni neurologiche e psichiche.


Proprio in questi termini mi espressi con i genitori ed i parenti del ragazzo. Invece, la successiva evoluzione clinica doveva clamorosamente smentirmi. A distanza di 40 ore circa dal trauma, il paziente iniziava una insperata quanto imprevedibile ripresa, che lo portava progressivamente a recuperare completamente la propria autonomia di vita: non residuava alcun deficit neurologico focale e le funzioni simboliche superiori e la vita psicoaffettiva erano perfettamente normalizzate. Ebbi, quindi, subito la sensazione che dal punto di vista scientificomedico era accaduto qualcosa di «eccezionale» ed «inspiegabile»: non era, ovviamente, la sopravvivenza a destare il mio stupore (le moderne tecniche rianimatorie ci consentono spesso di salvare la vita a questi pazienti), ma piuttosto la qualità della perfetta guarigione raggiunta in un tempo così inspiegabilmente breve (in termine tecnico, il «quoad modum» della restitutio ad integrum).


Mi proposi pertanto di analizzare attentamente tutta la letteratura internazionale sull’argomento, dal 1970 al 1990, coinvolgendo in questo ponderoso lavoro altri Colleghi Neurochirurghi e Rianimatori. Questa accurata e puntigliosa ricerca, indispensabile per uno studio serio e documentato, ci portò alla seguente conclusione: nel caso clinico che avevamo appena vissuto e trattato, le nostre conoscenze scientifiche non ci consentivano di spiegare ogni passaggio. Qualche «buco nero» rimaneva. Qualcosa di «scientificamente inspiegabile» era accaduto.



L’iter della causa di canonizzazione


di GUIDO MANTOVANI


Postulatore della Causa


La Causa di beatificazione e canonizzazione di Padre Giovanni Battista Piamarta è stata istruita nel 1943, a 30 anni dalla morte. Si sono celebrati tre Processi. Il Processo Ordinario fu celebrato dalla Curia di Brescia dal 1943 al 1948. Sempre dalla Curia di Brescia si è celebrato un Processo Addizionale nel 1958, ma con tre giudici inviati da Roma per chiarire alcuni punti non ben definiti nel Processo Ordinario. Tutte le testimonianze e i documenti raccolti in questi due Processi furono attentamente esaminati a Roma assieme agli scritti del Servo di Dio (67 Notes, un prontuario alfabetico di 39 pagine, un promemoria riguardante la fondazione dell’Istituto Artigianelli, 205 fogli di note intorno a diversi argomenti, disposizioni testamentarie e 207 lettere). Compiuto questo esame dalla Congregazione delle Cause dei Santi, il 29 marzo 1963 Giovanni XXIII ha introdotto la Causa di beatificazione e canonizzazione di Padre Giovanni Battista Piamarta. A questo punto la Santa Sede, sempre tramite la Congregazione competente, ha incaricato la Curia di Brescia di celebrare in sua vece il Processo Apostolico con lo scopo di provare se il Servo di Dio aveva esercitato in grado eroico le virtù teologali, le virtù cardinali e le virtù annesse. Tale processo si è aperto nel 1967 e si è chiuso nel 1969 con la riesumazione della salma del Padre Piamarta. Davanti a questi tribunali ecclesiastici, nei tre Processi, sono passati 153 testimoni che hanno reso 181 testimonianze, essendo stati alcuni sentiti più di una volta. Eccettuati 4 o 5 testimoni, tutti gli altri sono testimoni «de visu», persone cioè che hanno visto e conosciuto il Servo di Dio e che possono quindi parlare per loro diretta esperienza e conoscenza. Tutto il materiale raccolto fu esaminato e studiato dal promotore generale della fede e dal nostro avvocato. Per questo meticoloso lavoro occorrono anni e anni. Nessuna meraviglia, quindi, se la Positio super virtutibus del Servo di Dio, un volume di quasi mille pagine che raccoglie tutti gli Atti relativi alle varie fasi della Causa, fu consegnata dal Postulatore alla Congregazione delle Cause dei Santi il 3 dicembre 1982.


Finalmente il 14 gennaio 1986 si è tenuto il Congresso particolare dei nove consultori teologi, i quali, sei mesi prima, avevano ricevuto la Positio super virtutibus e i volumi di Mons. Luigi Fossati sulla vita di Padre Piamarta, per essere in condizioni di esprimere con tranquillità di coscienza il loro motivato parere. Tutti si sono pronunciati favorevolmente così da consentire al Segretario di indire per il 4 marzo la Congregazione ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi. Fu nominato Ponente, il Card. Giuseppe Casoria, che, essendo stato per otto anni Segretario della Congregazione delle Cause dei Santi, era a conoscenza del cammino della nostra Causa. Il 4 marzo, pertanto, sotto la presidenza del Card. Pietro Palazzini, la Congregazione ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi all’unanimità con voto segreto si è pronunciata favorevolmente sull’eroicità delle virtù di Padre Piamarta. Il Decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio fu promulgato, alla presenza del Papa, il 22 marzo 1986.


Si era compiuta così una tappa fondamentale nel cammino verso la beatificazione di Padre Piamarta, possibile solo quando si poteva dimostrare e provare che si era compiuto un miracolo per intercessione del Venerabile. E il miracolo attribuito alla sua intercessione si è compiuto due anni dopo, come confermerà la relazione del dott. Massimo Gandolfini, riportata qui di seguito.


Si tratta infatti della guarigione miracolosa di Bruno Cocchetti, ragazzo di undici anni e mezzo, che il 14 febbraio 1988, mentre attraversava la strada, veniva travolto da una macchina in corsa. Fu ricoverato subito all’Ospedale Civile di Brescia, dove iniziava tutta una serie di accertamenti, di cure, di analisi, di ricerche, di visite mediche che si protrassero per diversi giorni.


Furono constatati vari danni cerebrali nel quadro di un coma di 5° grado. In considerazione dello stato disperato delle condizioni del ragazzo, nei giorni 1617 febbraio fu invocata con numerose novene la intercessione del Servo di Dio Padre Giovanni Battista Piamarta dalle comunità dei religiosi piamartini, dalle suore di alcune comunità di Brescia. Fu collocata una immaginetta del Servo di Dio al letto del paziente per iniziativa di p. Ettore Pelati, piamartino e zio del ragazzo.


A partire dal giorno 18 febbraio si andarono notando successivi e sempre progressivi miglioramenti, non sperati e non prevedibili. Fu dimesso dall’ospedale in stato di totale recupero e di piena guarigione. Da allora Bruno Cocchetti, ora ventunenne, è stato sempre bene.


L’inchiesta Diocesana fu costruita dalla Curia di Brescia dal 12 giugno al 7 settembre 1990. Presso la Congregazione delle Cause dei Santi il caso ha avuto un percorso piuttosto complesso. Finalmente la Consulta medica, il 27 giugno 1996, raggiunse l’unanimità conclusiva sulla diagnosi, sulla terapia, sulla prognosi, sulla completezza, rapidità stabilità della guarigione ed anche sulla inspiegabilità scientifica della medesima.


I Consultori teologi poi hanno riconosciuto all’unanimità la soprannaturalità della guarigione del giovane Bruno Cocchetti da attribuirsi sicuramente ed esclusivamente alla mediazione del Ven. Servo di Dio Giovanni Battista Piamarta.


Il 4 marzo 1997 la Congregazione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi, Ponente l’Eminentissimo Card. Virgilio Noè, all’unanimità ha fatto proprie le conclusioni già espresse sia dai medici che dai teologi, dichiarando che la guarigione miracolosa era da attribuirsi unicamente alla intercessione del nostro Servo di Dio, invocato con fiducia sin dai primi momenti della constatazione dello stato di gravità del sanato. L’8 aprile, alla presenza del Santo Padre, fu promulgato il Decreto riguardante il miracolo attribuito alla intercessione del Venerabile Giovanni Battista Piamarta.