Galileo e la Chiesa alla luce della storia del pensiero.

  • Categoria dell'articolo:Apologetica

di Mons. Walter Brandmüller, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. “Sapete che cosa è un cliché, un cliché storico? È lo schema di un ragionamento o di un discorso che si ripete abitualmente; espressione priva di originalità, abusata, fastidiosa… così il dizionario. Ne è un esempio classico il famoso caso Galileo, come viene delineato di solito. Cerchiamo, quindi, di smontare quel cliché confrontandolo con la verità storica”.

Cari amici, sapete che cosa è un cliché, un cliché storico? È lo schema di un ragionamento o di un discorso che si ripete abitualmente; espressione priva di originalità, abusata, fastidiosa… così il dizionario. Ne è un esempio classico il famoso caso Galileo, come viene delineato di solito. Cerchiamo, quindi, di smontare quel cliché confrontandolo con la verità storica.
I soliti giudizi – Galileo, genio conosciuto e maltrattato da un Chiesa gelosa del suo potere – blocco di ricerca scientifica – disprezzo della libertà del pensiero e così via – affiorano tuttavia soltanto allorché si disattendono i principi basilari del metodo storico-critico: qui bisogna innanzitutto sottolineare la necessità di comprendere il caso Galileo a partire dai presupposti del suo tempo e non del nostro […]

La mentalità dei contemporanei
È consigliabile perciò domandarsi innanzitutto, quale fosse la mentalità di Galileo e dei suoi contemporanei, e come siano stati i provvedimenti ecclesiastici del 1616 e del 1633. Ciò che qui si manifesta è l’orizzonte sorprendentemente vasto, che indica come la maggior parte dei dotti di quel tempo possedessero una levatura di stampo universalistico. […]
[…] Queste dunque erano le premesse a partire dalla quali i contemporanei di Galileo valutarono lui e le sue tesi. Rivolgiamoci innanzitutto a Blaise Pascal, famoso scienziato, che scrive a proposito di Galileo: «tutti i fenomeni del movimento e dell’arretramento dei pianeti scaturiscono perfettamente da quelle ipotesi che si possono riscontrare in Tolomeo, Copernico e Tycho Brahe, e in molti altri. Di tutte queste ipotesi, una sola può essere vera. Ma chi potrebbe pronunciare un giudizio così grave, e chi potrebbe preferire un ipotesi a scapito di altre senza incorrere nel pericolo di errore?».
In modo del tutto simile si esprime Cartesio.

La situazione teoretico-scientifica
Dopo queste premesse non meraviglia affatto che i giudizi di Pascal e quello di Cartesio sullo strato delle cose fossero quasi identici a quelli dell’Inquisizione. Ciò dev’essere spiegato. Già durante la prima discussione riguardante Copernico nel 1615 il Cardinale Bellarmino, sostenne la seguente posizione: con certezza si potrebbe dire il problema riguardante la questione “Tolomeo o Copernico” non era affatto una questione riguardante la fede. Ciò è appropriato in verità in riferimento all’oggetto scientifico, ma si ha anche a che fare con dei contenuti della Sacra Scrittura. Se ci fosse per intanto una vera prova a favore del sistema eliocentrico, si dovrebbe procedere in modo molto cauto nell’interpretazione della Sacra Scrittura e dire piuttosto che noi non avremmo compreso il suo modo di esprimersi. Egli, Bellarmino, si dichiarava nient’affatto persuaso che tale prova esistesse sino a quando non gli venisse fornita. C’è una grande differenza tra il dire che il sistema copernicano corrisponde a tutte le osservazioni astronomiche e le spiega, e il ritenerlo come l’unico vero. Quest’ultima possibilità gli sembrava molto dubbia, e finché tale dubbio avesse continuato ad esistere, non si sarebbe dovuto abbandonare l’interpretazione della Sacra Scrittura operata dai Padri sino ad allora.
Si può aggiungere una riflessione ulteriore: anche nel caso che Copernico riuscisse a spiegare in modo convincente tutte le sue osservazioni astronomiche, con ciò non sarebbe ancora provato che il suo sistema corrisponda alla realtà cosmica, dal momento che potrebbero darsi anche altri sistemi in grado di fornire le stesse prestazioni. Viene spontaneo un paragone col modello atomico di Bohr: Niels Bohr per la verità non ha mai ritenuto che nell’atomo le cose accadano e si presentino esattamente così come il suo modello le rappresenta. Questa comprensione teoretico-scientifica – espressa o inespressa – era determinante per l’argomentazione di coloro che si collocavano in modo più o meno scettico nei confronti delle opinioni di Galileo. Proprio questa argomentazione era familiare agli interlocutori di Galileo – e della validità epistemologica di questo argomento, ieri come oggi, non c’è nessun motivo di dubitare. Il fatto che Galileo fosse affascinato dalla sua intuizione al punto da non potersi rendere conto di questa evidenza teoretico-scientifica gli impedì di cogliere che il Santo Ufficio e la Congregazione dell’Indice avevano ragione allorché non condivisero il suo ottimismo conoscitivo, e ammisero i limiti della possibilità della conoscenza scientifica in modo più chiaro di quanto facesse Galileo, affascinato dalla sua visione cosmica.
Ciò che del resto Galileo addusse come prove per la sua tesi, poteva forse provare l’insostenibilità di Tolomeo, ma in nessun modo la validità di Copernico. Soprattutto Galileo dovette provocare la critica affermando che le maree provassero effettivamente la teoria copernicana.
In breve: il mondo romano degli specialisti, completamente aperto nei confronti di Galileo – si pensi solo agli astronomi gesuiti Clavius, Grienberger, van Maelkote, fra gli altri -, aveva sì abbandonato Tolomeo, ma non poteva decidersi a giurare su Galileo.
Di fronte a tali incertezze e alla circostanza per cui il significato scientifico di Copernico era del tutto riconosciuto, non da ultimo in vista della riforma del calendario, la sua opera venne soltanto proibita donec corrigatur Il che significa che questo divieto sarebbe stato in vigore solo fino a quando in tutti i passi del testo in questione, invece della pura e semplice affermazione della verità cosmica del sistema copernicano, venisse ribadito il suo carattere solo ipotetico.
In tal modo siamo giunti sicuramente al nocciolo del problema. Non c’è dubbio. Né Copernico né Galileo avevano proposto qualcosa che andasse oltre i limiti di un’ipotesi. Non si poteva parlare di una prova stringente. Solo Newton, formulando la legge di gravità, ha aperto la strada per provare il movimento terrestre. E inoltre l’astronomia, con ognuna delle sue spettacolari scoperte, si è sempre più allontanata dall’idea che il sole sia il centro dell’universo. Dall’altra parte il Sant’Ufficio sbagliava credendo di riconoscere
una contraddizione fra Copernico e la Bibbia, mentre a sua volta lo stesso Galileo aveva saputo molto giustamente distinguere tra l’inerranza della Sacra Scrittura e la capacità di errare dei suoi interpreti.
In che modo – questo è il problema al quale dobbiamo ora dare una risposta si è arrivati a che una questione di scienza naturale riguardante la costituzione dell’universo diventasse una questione teologica, a che la Bibbia venisse interrogata in riferimento a questioni scientifiche, e che di conseguenza una affermazione astronomica sia potuta diventare oggetto di un procedimento magisteriale della Chiesa?

Lo sfondo storico-culturale
Tutto ciò è tuttavia in qualche modo comprensibile a partire dal retroterra storico-culturale del Barocco. In opposizione alla nostra concezione di un mondo suddiviso in settori autonomi, dotati dileggi proprie, nel quale la religione lotta praticamente per il suo diritto all’esistenza come un ambito vitale accanto ad altri, l’uomo dell’epoca barocca contemplava con uno sguardo affascinato e grandioso cielo e terra, tempo ed eternità, il divino e l’umano, Chiesa e mondo, scienza, tecnica e fede come armoniche parti costitutive di un unico possente e onnicomprensivo cosmo dell’essere, uscito da Dio e tendente a Dio. […]
[…] Nel comune modo di vedere teologico-esistenziale dei contemporanei di Galileo la terra era in primo luogo non un corpo celeste da investigare in base alle sue condizioni fisico-astronomiche, ma un singolare palcoscenico della divina rivelazione e redenzione. È difficile sottrarsi in questo contesto al tentativo di rievocare l’esperienza degli astronauti del nostro tempo. Con ogni probabilità essi sono stati in grado di rallegrarsi del loro successo solo allorché hanno cambiato la sensazione di trovarsi perduti nel cosmo con la sicurezza ritrovata sulla terra. Per essi, dal punto di vista essenziale, la terra è certamente molto più il centro del cosmo di quanto lo fosse per ogni discepolo di Tolomeo.
La visione olistica del Barocco era dunque tale da non mettere in grado gli uomini del tempo di Gai ileo di separare gli ambiti di natura e di rivelazione, di scienza naturale e di teologia, anche se questa separazione sarebbe stata apportatrice di chiarificazione. […]

Circa l’autorità della Bibbia
Bisogna rendersi conto, se peraltro ci se ne ricorda, che – almeno agli occhi degli interessati la posta in gioco era la genuina autorità della Bibbia che era diventata il punto nevralgico della controversia teologica con la Riforma. […]
[…] In primo luogo dunque non si trattava del problema se il sole o la terra stessero fermi o si muovessero. In realtà la posta in gioco era la comprensione e l’autorità della Bibbia e la controversia col Protestantesimo. In tal modo abbiamo scoperto la vera e propria causa per cui un’istanza ecclesiastica giunse ad un tratto ad esprimersi su di un problema di natura puramente scientifica, come lo vediamo noi oggi, dopo che per settant’anni si era taciuto.
In non poche pubblicazioni sul caso Galileo il giudizio pronunciato sulla questione che lo concerneva viene caratterizzato come uno dei molti errori del magistero ecclesiastico, con cui la chiesa avrebbe smentito una volta per tutte la sua pretesa ad un’autorità infallibile in questioni di fede. Ma le cose non stanno tuttavia in questi termini.
Innanzitutto occorre tener presente che le cosiddette decisioni magisteriali infallibili possono essere emanate solo da un Concilio ecumenico o dal Papa, e in ogni caso soggiacciono in quanto tali a dei criteri ben precisi.
Una decisione del genere non si verificò nel caso di Galileo. E precisamente già perché sia nel 1616 come anche nel 1633 erano in azione solo delle istanze che non erano qualificate per l’esercizio del magistero infallibile, e cioè la Congregazione dell’Indice e l’Inquisizione. Al riguardo non cambia per nulla la situazione il fatto che il Papa si occupasse personalmente del caso. Per chi conosce le cose della teologia ciò era chiaro allora come oggi. In particolare, ciò lo sapeva anche Galileo. Per questo, senza cadere in problemi di coscienza, egli poteva emettere l’abiura come un atto di lealtà ecclesiale, senza per questo dover rinunciare alle sue convinzioni scientifiche. La qual cosa, comunque, era per lui sicuramente dolorosa dal momento che doveva rinunciare a sostenerle pubblicamente.

Che cosa dicono i Decreti?
Il primo giudizio ufficiale fu quello dei consultori o qualificatori del Sant’Ufficio del 23 febbraio del 1616. Riguardò espressamente solo Copernico, ma aveva di mira Galileo, il cui nome però non veniva menzionato. Bisogna anche tener fermo che in questo caso si trattava solo di un parere di consultori, e non di un giudizio della Congregazione.
In queste celebri proposizioni, che oggi sembrano a molti grottesche e ridicole, si trattava di quanto segue: la dottrina dell’immobilità del sole, come quella della mobilità della terra, erano qualificate rispettivamente, la prima come filosoficamente assurda e formalmente eretica, la seconda invece non solo come filosoficamente assurda, ma anche come erronea rispetto alla fede.
La designazione della dottrina copernicana come filosoficamente assurda non va intesa come se la si dichiarasse falsa, in base al significato dell’uso attuale del termine “filosofia”
Qui “filosofia” è chiaramente da intendere nel senso di “scienza naturale”: Galileo era infatti anche “filosofo e matematico” del Granduca di Toscana. E assurda dal punto di vista scientifico – non matematico! – doveva sembrare in realtà la cosa, ed un contemporaneo la percepiva a questo modo: tenendo conto del supposto movimento della terra attorno al suo asse e soprattutto attorno al sole come poteva essere possibile su di essa l’esistenza della vita? L’esperienza quotidiana, e mai messa in dubbio, non poteva essere spiegata diversamente che ricorrendo all’immobilità della terra e al movimento del sole.
Solo Isacco Newton scoprì la gravità, che era in grado dì spiegare lo stato delle cose. Galileo stesso, e ancora meno Copernico, non avevano mai intrapreso il benché minimo tentativo di spiegazione.
Sebbene tutto ciò corrispondesse alla concezione della maggior parte egli interessati al caso, il Sant’Ufficio non emanò nessun decreto ufficiale al riguardo. Ciò era riservato alla Congregazione dell’Indice. Il decreto dell’Indice, datato 5 marzo 1616, designa la dottrina della mobilità della terra ecc. come quella falsa dottrina pitagorica, del tutto contrapposta alla Sacra Scrittura. Tutto ciò è molto significativo: mentre i periti del Sant’Ufficio avevano parlato in questo caso di eresia, i Cardinali non li seguirono affatto. Essi si limitarono a constatare la contraddizione esistente fra la discutibile dottrina e la Sacra Scrittura. Ciò fa capire che all’interno delle autorità curiali dovevano aver corso delle posizioni notevolmente contrapposte nel giudizio su Copernico. La cautela, da ciò condizionata, della formulazione “divinaeque Scripturae omnino adversantem” aveva delle conseguenze. Vi si dice infatti che, se un giorno si provasse che la contraddizione con la Sacra Scrittura è solo apparente, si potrebbe in ogni momento sottrarre il terreno alla Congregazione con la prova addotta. La formulazione del decreto, che chiaramente si appoggia fortemente sulla concezione sostenuta dal Cardinal Bellarmino, sottolinea dunque anche contenutisticamente il carattere revocabile della decisione.
Circa le sentenze dell’anno 1633 vale del resto la stessa cosa. Anche qui il sistema eliocentrico viene designato come contrapposto alla Sacra Scrittura, ma non tuttavia come eretico.
Per dirla in breve: stando allo stato delle cose, era stata consapevolmente lasciata aperta la strada per la prova del contrario tramite ulteriori ricerche. Del resto non bisogna dimenticare che Galileo, all’interno del mondo degli specialisti, aveva degli avversari degni di grande considerazione e provvisti di reali argomenti – e ciò sino all’inizio del secolo XIX. Le istanze ecclesiastiche pertanto non hanno affatto rigettato in maniera ottusamente reazionaria una dottrina scientifica comunemente riconosciuta. Esse hanno unicamente sottolineato che vanno chiamate ipotesi quelle che non sono altro che ipotesi. Una analoga, prudente decisione riguardante l’energia nucleare o l’ingegneria genetica verrebbe oggi compresa, diversamente da quella dell’Inquisizione nel caso Galileo.

Le conseguenze del giudizio
Se interroghiamo la concezione corrente da questo punto di vista, ne risulta all’incirca questo quasi unanime giudizio: la sentenza ecclesiastica contro Galileo ha paralizzato per il futuro la ricerca scientifica nell’Europa cattolica, ed inoltre ha sollevato quel malefico conflitto tra la scienza e la Chiesa, nel superamento del quale solo il nostro tempo riconosce un compito urgente. […]
[…] non si può parlare di una paralisi della ricerca scientifica nei paesi cattolici in conseguenza del processo di Galileo. La miglior prova è costituita dal fatto che Galileo stesso – e ciò avvenne sotto la sorveglianza dell’Inquisizione, comunque la si intenda, – poté scoprire nel 1637 le oscillazioni della luna grazie ad ulteriori osservazioni astronomiche. Negli ambienti interessati, d’altronde, si sapeva valutare correttamente la portata dei decreti romani: ci si serviva del sistema di Copernico come di una – così sarebbe dovuto risultare – fruttuosa ipotesi di lavoro. […]
[…] Chi pertanto parla di una stagnazione della ricerca in questo ambito, negli ambienti cattolici, viene a trovarsi in contraddizione coi fatti storici. Un altro dato può essere sottolineato in base a ciò che si è detto, e cioè che nel secolo successivo alla morte di Galileo non si registrò nessun conflitto fra le scienze naturali e la Chiesa. La spaccatura si allargò nell’epoca seguente, nella misura in cui il razionalismo e finalmente il materialismo raggiunsero un’egemonia pressoché illimitata nell’ambito delle scienze naturali. In questo contesto Galileo diventò la figura di Gallione di una scienza consapevolmente atea.

Ripensamento
Il cambiamento delle posizioni della Chiesa nei confronti del nostro problema è già emerso dalle precedenti osservazioni sulla prosecuzione delle ricerche nell’ambito delle scienze naturali nell’Europa cattolica dopo Galileo. Erano appena trascorsi quarant’anni dal suo processo allorché Copernico non figurava più nell’Indice dell’anno 1670. Nell’anno 1693 l’allievo di Galileo, Viviani, poteva discutere, in una corrispondenza col gesuita P. Baldigiani, sulle possibilità per una licenza di stampa del dialogo di Galilei. […]
[…] Il caso Galileo entrò in un nuovo e determinante stadio, in vista della decisione definitiva, allorché il professore di astronomia all’Università romana “La Sapienza”, Giuseppe Settele, pubblicò nel 1819-20 il suo Manuale di ottica e astronomia. Settele era il figlio di un maestro fornaio, proveniente da Seeg in Algovia, e abitante in Trastevere.
Nella sua opera egli presuppose in tutta naturalezza l’immagine copernicana del mondo. La censura non vi trovò nulla di contestabile al riguardo. L’opera era già in corso di stampa allorché l’autorità alla quale spettava la competenza decisiva per la stampa dei libri da pubblicare a Roma, il Maestro del Sacro Palazzo, il domenicano Filippo Anfossi, ne proibì la stampa. Egli insisteva nel sottolineare il carattere ipotetico del sistema copernicano. In seguito a ciò si sviluppò una violenta discussione all’interno della Curia, in cui Anfossi stava contro l’intero Santo Ufficio e contro il Papa, il quale era parimenti dell’idea di concedere la licenza di stampa. Sull’esito definitivo della controversia non potevano sussistere dubbi. Con la concessione della licenza di stampa per Settele venivano parimenti “riabilitati” Copernico e Galileo.
Questa soluzione fu il frutto di una notevole prestazione intellettuale del domenicano Maurizio Benedetto Olivieri, che in quegli anni era Commissario del Santo Ufficio, e quindi costituiva la terza autorità in ordine di importanza.
Sottolineato il fatto che il sistema copernicano nella forma in cui veniva insegnato allora – e cioè al tempo di Olivieri e Settele – non sollevava nessuna obiezione di natura teologica, l’Olivieri evitò da un lato di sconfessare le decisioni del 1616 e del 1633, mettendo d’altro lato completamente fra parentesi la problematica astrofisica. La decisione ecclesiastica dell’anno 1820 si mosse unicamente su terreno della dottrina della fede, lasciando libero corso alla scienza della natura.

Un tentativo di comprendere
[…] Ma, ci si potrebbe domandare, il comportamento delle istanze curiali non va a sfociare nella repressione della libertà dello spirito e della ricerca? Non si trattò di una pura e semplice volontà di mantenere i potere?
Per rispondere adeguatamente a simili domande, occorre naturalmente che si sappia che cosa siano la Chiesa e la divina relazione. Ai giudici di Galileo era ben noto che la verità rivelata da Dio nell’Evangelo era il sommo bene dell’umanità, e che era stata affidata alla Chiesa per una trasmissione integra.
Nel dubbio se la nuova astronomia fosse o meno in contrasto con la parola di Dio, l’incolumità della fede ebbe un peso maggiore che non una nuova teoria astronomica non ancora provata. Questa decisione – ben compresa da Pascal e Descartes – non dovremmo considerarla dal punto di vista della nostra società secolarizzata e pluralistica, e neppure secondo la prospettiva di un professore bloccato sull’oggetto della sua ricerca, bensì a partir dallo sfondo storico-culturale dell’epoca barocca precedentemente delineato. Anche i giudici di Galileo hanno diritto ad essere giudicati con giustizia.
In conclusione mi sia consentita una parola sul nostro rapporto con la storia in genere. E oramai giunto il momento – non solo nel caso di Galileo – di prendere congedo da un rapporto col passato determinato sia da emozioni che da entusiasmo, sia di indignazione che dal sentirsi parte in causa, per tentare un approccio caratterizzato dalla volontà di vera obiettività.
L’adrenalina di pur nobili emozioni non dovrebbe infiltrarsi nell’inchiostro dello storiografo. Mediante la volontà di capire gli uomini delle passate generazioni a partire dai loro propri presupposti, e mediante la disponibilità a valutarli con i criteri del loro tempo e non del nostro, ci approssimiamo alla verità in misura maggiore che non quando assumiamo il ruolo dell’accusatore, del difensore e del giudice, o addirittura del boia. Ciò vale, come s’è detto, per il caso Galileo, ma non soltanto per esso.

© Linea-tempo – Anno IV – Vol. 3 – Dicembre 2000