Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (998-1015)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO II. La via illuminativa o lo stato delle anime proficienti. CAPITOLO I. Nozioni preliminari sulle virtù infuse. I. Delle virtù infuse in generale. 1° Natura delle virtù infuse. 2° Dell’aumento delle virtù infuse. 3° Dell’indebolimento delle virtù. 4° Del vincolo che corre tra le varie virtù. II. Le virtù morali. Divisione del secondo Capitolo.

Prima di partitamente descriverle, conviene richiamar brevemente le nozioni
teologiche sulle virtù infuse.

NOZIONI PRELIMINARI SULLE VIRTÙ
INFUSE.

Diremo prima delle
virtù
infuse in generale
e poi delle virtù
morali in particolare.


 
I. Delle virtù infuse in
generale
 998-2.

998.   Vi sono virtù
naturali,
vale a dire buone abitudini, acquistate con atti frequentemente ripetuti, che
agevolano la pratica del bene onesto. Onde anche gli increduli e i pagani
possono, col naturale concorso di Dio, acquistar le virtù morali della prudenza,
della giustizia, della fortezza, della temperanza e perfezionarvisi. Non
parliamo qui di queste virtù; ma intendiamo di trattare delle virtù soprannaturali o
infuse quali si hanno nel cristiano.

999.   Elevati allo stato
soprannaturale e non avendo altro fine che la visione beatifica, dobbiamo
tendervi con atti fatti sotto l’influsso di principii e di motivi
soprannaturali, essendo necessario che vi sia proporzione tra il fine e gli atti
che vi conducono. Quindi per noi le virtù che nel mondo si dicono naturali,
devono essere praticate in modo soprannaturale. Come giustamente nota il
P. Garrigou-Lagrange, 999-1 secondo S. Tommaso “le virtù morali
cristiane sono infuse ed essenzialmente distinte per l’oggetto formale
dalle più alte virtù morali acquisite descritte dai più grandi filosofi… C’è
infinita differenza tra la temperanza aristotelica, regolata soltanto dalla
retta ragione, e la temperanza cristiana regolata dalla fede divina e dalla
prudenza soprannaturale.”.

Avendo già mostrato come queste virtù ci sono comunicate dallo Spirito Santo
che vive in noi, n. 121-122,
non ci resta più che a descriverne:


  • 1° la
    natura;

  • 2° l’aumento;

  • 3° l’indebolimento;

  • 4° il
    vincolo che corre tra loro.




NATURA DELLE VIRTÙ INFUSE.

1000.   A) Le virtù infuse
sono principii di azione che Dio inserisce in noi perchè servano all’anima di
facoltà soprannaturali e ci rendano quindi capaci di fare atti meritori.


Vi è dunque differenza essenziale tra le virtù infuse e le virtù acquisite
sotto il triplice aspetto dell’origine, dell’esercizio, del
fine.

a) Riguardo all’origine, le virtù naturali si acquistano con la
ripetizione degli stessi atti; le virtù soprannaturali vengono da Dio che ce le
infonde nell’anima insieme con la grazia abituale.

b) Quanto all’esercizio, le virtù naturali, acquistandosi con
la ripetizione degli stessi atti, ci danno la facilità di fare
prontamente e lietamente atti simili; le virtù soprannaturali, infuse da Dio
nell’anima nostra, non ci danno che il potere di fare atti meritori, con
una certa tendenza a farli; la facilità non verrà che più tardi con la
ripetizione degli atti.

c) Riguardo al
fine, le virtù naturali tendono al bene onesto e
ci volgono a Dio creatore; mentre le virtù infuse tendono al bene soprannaturale
e ci portano al Dio della Trinità, quale ci è fatto conoscere dalla fede. Quindi
i motivi che ispirano queste virtù devono essere soprannaturali, e si riducono
all’amicizia di Dio; io pratico la prudenza, la giustizia, la temperanza, la
fortezza, per essere in armonia con Dio.

1001.   Ne viene che gli atti di
queste virtù soprannaturali sono molto più perfetti di quelli delle virtù
acquisite; 1001-1 la nostra temperanza, per esempio, non
ci porta solo alla sobrietà necessaria per serbare la umana dignità, ma anche a
vere mortificazioni con cui maggiormente ci conformiamo al Salvatore Gesù; la
nostra umiltà non ci fa solo evitare gli eccessi di superbia e di collera
opposti all’onestà, ma ci fa abbracciare le umiliazioni che ci rendono più
simili al nostro divino Modello.

Vi è dunque differenze essenziale tra le virtù acquisite e le infuse; il
principio e il motivo formale non ne sono identici.

1002.   B) Abbiamo detto che
la facilità di esercitare le virtù infuse si acquista con la ripetizione
degli stessi atti, onde si opera con più prontezza, con più facilità e con più
diletto (promptius, facilius, delectabilius). Sono tre le cause
principali che concorrono a questo buon risultato:

a) L’abitudine
diminuisce gli ostacoli o le resistenza della
guasta natura, onde col medesimo sforzo si ottengono migliori effetti;
bindolcilisce le facoltà, ne perfeziona l’esercizio, le
rende più pronte a cogliere i motivi che ci portano al bene e più atte a
praticare il bene conosciuto; proviamo anzi un certo diletto ad esercitare
facoltà così docili, come l’artista a far correre le dita su una mobilissima
tastiera. c) Infine la grazia attuale, che ci viene concessa con
tanto maggior liberalità quanto più fedele è la nostra corrispondenza,
contribuisce anch’essa in modo singolare ad agevolarci il nostro dovere e a
farcelo amare.

Notiamo di passaggio che cotesta facilità, acquisita che
sia, non si perde appena uno abbia la disgrazia di perdere col peccato mortale
la virtù infusa; frutto di atti frequentemente ripetuti, la facilità persiste
per qualche tempo in virtù delle leggi psicologiche sulle abitudini acquisite.

 

DELL’AUMENTO DELLE VIRTÙ INFUSE.

1003.   A) Le virtù infuse
possono crescere nell’anima e crescono infatti a misura che cresce la grazia
abituale da cui derivano. Questo aumento viene direttamente da Dio, egli solo
potendo aumentare in noi la vita divina e i vari elementi che la costituiscono.
E Dio produce questo aumento quando riceviamo i sacramenti e quando
facciamo opere buone o preghiere.

a) I sacramenti, in virtù della stessa loro istituzione,
causano in noi un aumento di grazia abituale e quindi delle virtù infuse che vi
sono connesse, a proporzione delle nostre disposizioni, n. 259-261.

b) Anche le
opere buone meritano non solo la gloria ma un
aumento di grazia abituale e quindi delle virtù infuse; aumento che dipende in
gran parte dal fervore delle nostre disposizioni, n. 237.

c) La preghiera, oltre il valore meritorio, ha pure un valore
impetratorio, che sollecita ed ottiene un aumento di grazia e di virtù, a
proporzione del fervore con cui si prega. Conviene quindi unirsi alle preghiere
della Chiesa chiedendo con lei aumento di fede, di speranza e di carità: “Da
nobis fidei, spei et caritatis augmentum”
.

B) Tale aumento si fa, secondo S. Tommaso, non col crescimento di
grado o di quantità ma col possesso più perfetto e più attivo della
virtù; onde avviene che le virtù gettano più profonde radici nell’anima e vi
diventano più sode ed operose.

 

DELL’INDEBOLIMENTO DELLE VIRTÙ.

Un’attività che non si eserciti o che si eserciti fiaccamente, presto si
affievolisce o si perde anche intieramente.

1004.   A)
Della
diminuzione delle virtù.
Le virtù infuse non sono, a dir vero, capaci di
diminuzione come non ne è capace la grazia santificante da cui dipendono. Il
peccato veniale non può diminuirle, come non può diminuire la grazia
abituale; ma, soprattutto quando è commesso spesso e deliberatamente,
ostacola notevolmente l’esercizio delle virtù, diminuendo la
facilità acquistata con gli atti precedenti. Questa facilità viene infatti da un
certo ardore e da una certa costanza nello sforzo; ora le colpe veniali
deliberate smorzano lo slancio e svigoriscono in parte l’attività, n. 730.
Così i peccati veniali d’intemperanza, senza diminuire in sè la virtù
infusa della sobrietà, fanno perdere a poco a poco la acquistata facilità di
mortificar la sensualità. E poi l’abuso delle grazie cagiona una diminuzione
delle grazie attuali che ci agevolavano l’esercizio delle virtù, onde le
pratichiamo per questo verso con meno ardore. Infine, come abbiamo detto, n. 731,
i peccati veniali deliberati spianano la via ai peccati gravi e quindi alla
perdita delle virtù.

1005.   B)
Della perdita
delle virtù.
Si può fissar come principio che le virtù si perdono con ogni
atto che ne distrugga l’oggetto formale o il motivo; con ciò
infatti si scalza la virtù dalle fondamenta.

a) Così la carità si perde con ogni peccato mortale di
qualsiasi natura, perchè questo peccato distrugge in noi l’oggetto formale o il
fondamento di tal virtù, essendo direttamente opposto all’infinita bontà di Dio.

b) Le virtù morali infuse si perdono col peccato mortale,
poichè sono talmente legate alla carità che, scomparendo questa, esse scompaiono
con lei. Nondimeno la acquistata facilità di fare atti di prudenza, di
giustizia, ecc., continua ancora per qualche tempo dopo la perdita delle virtù
infuse, in virtù della persistenza delle abitudini acquisite.

c) La fede e la
speranza continuano a sussistere
nell’anima anche quando si è perduta la grazia col peccato mortale, purchè non
si tratti di peccato direttamente contrario a queste due virtù. La ragione è che
gli altri peccati mortali non distruggono in noi il fondamento della fede e
della speranza; e d’altra parte Dio, nella infinita sua misericordia, vuole che
queste due virtù rimangano come ultima tavola di salvezza: fin che uno crede e
spera, la conversione resta relativamente facile.

 
4° DEL
VINCOLO CHE CORRE TRA LE VARIE VIRTÙ.

1006.   Si dice spesso che tutte le
virtù sono connesse: cosa che richiede alcune spiegazioni.

A) Prima di tutto la
carità, bene intesa e ben praticata,
comprende tutte le virtù, non solo la fede e la speranza (il che è evidente), ma
anche le virtù morali, come abbiamo spiegato, n. 318,
con la dottrina di S. Paolo: Caritas patiens est, caritas benigna
est…
Il che è vero nel senso che chi ama Dio e il prossimo per Dio, è
pronto a praticare ogni virtù, appena la coscienza gliene faccia conoscere
l’obbligo. Non si può infatti amar Dio profondamente, sopra ogni cosa, senza
volerne osservare i comandamenti e anche alcuni consigli. Spetta inoltre alla
carità di ordinare tutti i nostri atti a Dio, ultimo nostro fine, e quindi
regolarli secondo le varie virtù cristiane, E si può dire che quanto più aumenta
la carità, tanto più crescono pure in radice le altre virtù.

Nondimeno l’amor di Dio, pur inclinando la volontà agli atti delle virtù
morali e agevolandone la pratica, non dà immediatamente e necessariamente la
perfezione di tutte queste virtù, per esempio, della prudenza, dell’umiltà,
dell’obbedienza, della castità. Poniamo infatti un peccatore che sinceramente si
converta dopo contratte cattive abitudini; sebbene pratichi con ogni sincerità
la carità, non diventa così tutto a un tratto perfettamente prudente,
perfettamente casto o temperante, ma occorrerà tempo e sforzo per liberarsi
dalle antiche abitudini e formarsene delle nuove.

1007.   B) Essendo la carità
forma e ultimo compimento di tutte le virtù, queste non sono mai perfette senza
di lei; quindi la fede e la speranza che restano nell’anima del peccatore, pur
essendo vere virtù, sono virtù informi, cioè prive di quella perfezione
che le volgeva a Dio come ultimo nostro fine; onde gli atti di fede e di
speranza fatti in questo stato non possono meritare il paradiso, benchè siano
soprannaturali e servano di preparazione alla conversione.

1008.   C) Le
virtù
morali,
chi le possegga nella loro perfezione, vale a dire informate
dalla carità
e in grado alquanto elevato, sono veramente connesse nel senso
che non se ne può posseder una senza aver pure le altre. Così tutte le virtù, ad
essere perfette, suppongono la prudenza; la prudenza poi non può praticarsi
perfettamente senza il concorso della fortezza, della giustizia e della
temperanza: chi è di carattere fiacco, inclinato all’ingiustizia e
all’intemperanza, mancherà di prudenza in parecchie circostanze; la giustizia
non può praticarsi perfettamente senza fortezza d’animo e temperanza; la
fortezza dev’essere temperata dalla prudenza e dalla giustizia; nè sussisterebbe
a lungo senza la temperanza; e via dicendo. 1008-1

Ma se le virtù morali non sono nell’anima se non in grado inferiore, la
presenza dell’una non inchiude necessariamente la pratica dell’altra. Così vi
sono pudici senza essere umili, umili senza essere misericordiosi,
misericordiosi senza praticare la giustizia. 1008-2

 
II. Le virtù morali.

Spieghiamone brevemente la
natura, il
numero, il
comune carattere.

1009.   1° La
natura. Si
dicono virtù morali per doppia ragione: a) per distinguerle dalle
virtù puramente intellettuali, che perfezionano l’intelligenza senza
relazione alcuna con la vita morale, come la scienza, l’arte, ecc.;
b) per distinguerle dalle virtù teologali, che certamente
regolano esse pure i costumi, ma che, come abbiamo già detto, hanno
direttamente Dio per oggetto, mentre le virtù morali mirano
direttamente a un bene soprannaturale creato, per esempio, il dominio delle
passioni. Non è però da dimenticare che anche le virtù morali soprannaturali
sono veramente una partecipazione della vita di Dio e ci preparano alla visione
beatifica. Del resto, a mano a mano che si perfezionano, e soprattutto quando
vengono integrate dai doni dello Spirito Santo, queste virtù finiscono con
accostarsi talmente alle virtù teologali che ne restano come imbevute, e non
sono più che varie manifestazioni della carità che le informa.

1010.   2° Il
numero. Le virtù
morali, chi le consideri nelle varie loro ramificazioni, sono numerosissine, ma
si riducono poi tutte alle quattro virtù cardinali, dette così (dalla
parola cardines, cardini) perchè sono quasi quattro cardini su cui si
reggono tutte le altre.

Queste quattro virtù infatti corrispondono a tutti i bisogno dell’anima e ne
perfezionano tutte le facoltà morali.

1011.   A)
Corrispondono a
tutti i bisogni dell’anima.


a) Abbiamo prima di tutto bisogno di scegliere i mezzi necessari od
utili al conseguimento del fine soprannaturale: è l’ufficio della
prudenza.

b) Dobbiamo pure
rispettare i diritti altrui; ed è ciò che fa
la giustizia.

c) A difendere
la persona e i beni dai pericoli che ci
minacciano, e farlo senza paura e senza violenza, ci occorre la fortezza.

d) Per servirsi dei beni di questo mondo e dei diletti senza
oltrepassar la debita misura, ci è necessaria la temperanza.

La giustizia quindi regola le relazioni col prossimo, la
fortezza e la temperanza le relazioni con noi stessi, e la
prudenza dirige le altre tre virtù.

1012.   B)
Perfezionano
tutte le nostre facoltà morali:
l’intelligenza è regolata dalla prudenza, la
volontà dalla giustizia, l’appetito irascibile dalla fortezza e l’appetito
concupiscibile dalla temperanza. Notiamo però che, non essendo l’appetito
irascibile e concupiscibile capaci di moralità se non per la volontà, la
fortezza e la temperanza risiedono in questa superiore facoltà e nelle facoltà
inferiori che ricevono direzione dalla volontà.

1013.   C) Aggiungiamo infine
che ognuna di queste virtù può essere considerata come un genere che contiene
sotto di sè parti integranti, subiettive e potenziali.

a) Le parti
integranti sono virtù che servono di compimento
utile o necessario alla pratica della virtù cardinale, talmente che non sarebbe
perfetta senza questi elementi; così la pazienza e la costanza sono parti
integranti della fortezza.

b) Le parti
subiettive sono come le varie specie di
virtù subordinate alla virtù principale; così la sobrietà e la castità sono
parti subiettive della temperanza.

c) Le parti
potenziali (o annesse) hanno con la virtù cardinale
una certa rassomiglianza, perchè attuano una parte dell’intiera sua potenza,
senza avverarne pienamente tutte le condizioni. Così la virtù della
religione è virtù annessa alla giustizia, perchè mira a rendere a Dio il
culto che gli è dovuto, senza però poterlo fare con la perfezione voluta
nè con stretta eguaglianza; l’obbedienza rende ai superiori la
sottomissione loro dovuta, ma anche qui non vi è propriamente stretto diritto nè
relazione da pari a pari.

Ad agevolare l’opera nostra e quella dei lettori, non
entreremo nella enumerazione di tutte queste divisioni e suddivisioni; ma
sceglieremo quelle virtù principali che debbono essere maggiormente coltivate,
non toccandone se non gli elemento più essenziali tanto sotto l’aspetto teorico
che pratico.

1014.   3°
Il comune
carattere.
a) Tutte le virtù morali mirano a serbare il
giusto mezzo tra gli opposti eccessi: in medio stat virtus. Devono
infatti seguir la regola segnata dalla retta ragione illuminata dalla
fede. Ora si può mancare a questa regola oltrepassando la misura o rimanendone
al di qua: la virtù quindi consisterà nello schivare questi due eccessi.

b) Le virtù teologali non stanno
in sè nel giusto mezzo,
perchè, come dice S. Bernardo, la misura d’amar Dio è di amarlo senza
misura; ma considerate rispetto a noi queste virtù devono tener conto
anche del giusto mezzo, ossia devono essere rette dalla prudenza, che ci indica
in quali circostanze possiamo e dobbiamo praticar le virtù teologali; è lei
infatti che ci mostra, per esempio, ciò che bisogna credere e ciò che non
bisogna credere, come si deve schivare nello stesso tempo la presunzione e la
disperazione, ecc.

 1015.   Nel secondo capitolo
tratteremo per ordine delle quattro virtù cardinali e delle
principali virtù che vi si connettono.


  • I.
    Della prudenza.

  • II. Della
    giustizia


    • della
      religione.

    • dell’obbedienza.



  • III.
    Della fortezza.


  • IV. Della
    temperanza


    • della
      castità.

    • dell’umilità.

    • della
      dolcezza.



 

NOTE

998-1 S. Tommaso,
IIæ, q. 55-67; IIª IIæ, q. 48-170; Suarez, Disput. metaphys., XLIV;
De Passionibus et habitibus, De fide,
etc.; Johannes a S. Thoma, Cursus theol., Tr. de Passionibus,
habitibus et virtutibus,
ec.; Alvarez de Paz, t. II, lib. III, de
adeptione virtutum; Phil. a SS. Trinit., P. II, tr. II, dis. I, II;
P. Rodriguez, Perfezione crist., i vari trattati;
S. Fr. di Sales, La Filotea; J. J. Olier, Introd. à la vie et aux vertus chrét.;
Mgr Gay, Della vita e
delle virtù cristiane,
tr. VI, VII, IX, X, XI; Ribet, Les vertus
et les dons;
P. de Smedt, Notre vie surnaturelle, t. II.

998-2 S. Tommaso,
IIæ, q. 62-63; Suarez, De passionibus et habitibus,
diss. III; J. a S. Thoma, op. cit., disp. XVI;
L. Billot, De virt. infusis; P. Janvier, Quaresimale 1906 (Marietti, Torino);
P. Garrigou-Lagrange, Perfect. chrét. et contemplation, p. 62-75.

999-1 Op. cit., p. 64.

1001-1 Sum. theol., IIª
IIæ, q. 63, a. 4; H. Noble, Vie spirituelle,
Nov. 1921, p. 103-104.

1008-1 Cf.
S. Agostino,
Lettera 167 a Girolamo, P. L., XXXIII, 735.

1008-2 S. Gregorio,
Moral., l. XXII, c. I.

 
Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy
(martinwguy@yahoo.it).

Ultima revisione: 1 febbraio 2006.