Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (188-198)

Di Adolfo Tanquerey. PARTE PRIMA. I Principii. CAPITOLO II. Natura della vita cristiana. Sintesi della dottrina esposta. ART. II. La parte dell’uomo  nella vita cristiana. § I. Della lotta contro i nemici spirituali. I. Lotta contro la concupiscenza. 1° La concupiscenza della carne.

SINTESI DELLA DOTTRINA ESPOSTA.
188. Dio ha dunque una parte grandissima nella nostra santificazione. Viene egli stesso a risiedere nell’anima nostra per darsi a noi e santificarci. Per renderci capaci di elevarci a lui, ci dà un intero organismo spirituale: la grande abituale che, penetrando la sostanza stessa dell’anima, la trasforma e la rende deiforme; le virtù e i doni che, perfezionando le facoltà, le abilitano, col soccorso della grazia abituale che le mette in moto, a fare atti soprannaturali meritori di vita eterna.
189. Ma questo non basta ancora al suo amore: ci manda l’unico suo Figlio, il quale, facendosi uomo come noi, diventa il modello perfetto che ci guida nella pratica delle virtù che conducono alla perfezione e al cielo; ci merita la grazia necessaria per calcarne le orma non ostante le difficoltà che troviamo dentro e fuori di noi; e che, per meglio trarci alla sua sequela c’incorpora a sè, fa passare in noi, per mezzo del divino suo Spirito, la vita di cui possiede la pienezza, e con questa incorporazione dà alle nostre anche minime azioni un immenso valore; queste azioni infatti, unite a quelle di Gesù nostro capo, partecipano al valore delle sue, poichè in un corpo tutto diventa comune tra il capo e le membra. Con lui e per lui possiamo quindi glorificar Dio come merita, ottenere nuove grazie e avvicinarci così al Padre celeste ricopiandone in noi le divine perfezioni.
Maria, essendo madre di Gesù e sua sollaboratrice, benchè secondaria, nell’opera della Redenzione, prende pur parte alla distribuzione della grazie da lui meritateci: per lei andiamo a Lui, per lei chiediamo la grazia; la veneriamo e l’amiamo come madre, studiandoci d’imitarne le virtù.
E poichè Gesù non è soltanto capo nostro ma anche dei Santi e degli Angeli, mette a nostro servizio questi potenti ausiliari per proteggerci contro gli assalti del demonio e la debolezza della nostra natura: i loro esempi e la loro intercessione ci sono di efficacissimo aiuto.
Poteva Dio far di più per noi? E s’egli si diede così generosamente a noi, che cosa non dobbiamo far noi per corrispondere al suo amore e coltivare la partecipazione della vita divina di cui ci ha così generosamente gratificati?
ART. II. LA PARTE DELL’UOMO NELLA VITA CRISTIANA.
190. È evidente and se Dio ha fatto tanto per comunicarci una partecipazione della sua vita, noi dal canto nostro dobbiamo corrispondere a questa preveniente sua bontà, accettar con riconoscenza questa vita, coltivarla e prepararci così a quell’eterna beatitudine che sarà il coronamento degli sforzi fatti sulla terra. La riconoscenza ce ne fa un dovere, perchè il miglior mezzo di esser grati a un beneficio è utilizzarlo pel fine per cui è stato concesso. Lo vuole il nostro spirituale interesse; perchè Dio ci ricompenserà secondo i meriti, e la nostra gloria in paradiso corrisponderà ai gradi di grazia che avremo acquistato con le nostre buone opere: “Unusquisque autem propriam mercedem accipiet secundum suum laborem” 190-1. Sarà invece obbligato a castigar severamente coloro che, resistendo volontariamente alle divine sue premure, avranno abusato della sua grazia. Perchè, dice l’Apostolo, “la terra che beve spesso la pioggia cadente su lei e produce utile erbe a chi la coltiva, riceve benediaioni da Dio; ma se non produce che spine e triboli, è riprovata e prossima alla maledizione: “Terra enim sœpe venientem super se bibens imbrem et generans herbam opportunam illis a quibus colitur, accipit benedictionem a Deo; proferens autem spinas ac tribulos, reproba est et meledicto proxima” 190-2. È vero che Dio, che ci creò liberi, rispetta la nostra libertà e non ci santificherà contro il nostro volere; non cessa però di esortarci ad utilizzare le grazie che così liberalmente ci concede: “Adjuvantes autem exhortamur ne in vacuum gratiam Dei recipiatis” 190-3: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio.
191. Ora, per corrispondere a questa grazia, dobbiamo anzitutto praticare le grandi devozioni esposte nell’articolo precedente: devozione alla SS. Trinità; devozione al Verbo Incarnato, devozione alla SS. Vergine, agli Angeli e ai Santi. Vi troveremo infatti efficacissimi motivi per darci intieramente a Dio in unione con Gesù, e con la protezione dei nostri potenti intercessori; vi troveremo pure modelli di santità che ci tracceranno la via da seguire, e meglio ancora energie soprannaturali che ci aiuteranno ad avvicinarci ogni giorno più all’ideale di santità proposto alla nostra imitazione. — Si noti però che noi abbiamo esposto queste devozioni nel loro ordine ontologico o di dignità; ma che in pratica non è la devozione alla SS. Trinità quella che si esercita per la prima; si comincia ordinariamente con la devozione a Nostro Signore e alla SS. Vergine, e solo più tardi assorgiamo alla SS. Trinità.
192. Ma questo non è tutto. È necessario che utilizziamo tutto quell’organismo aoprannaturale di cui siamo dotati, e che lo perfezioniamo non ostante gli ostacoli interni ed esterni che si oppongono al suo sviluppo. 1° Poichè rimane in noi la triplice concupiscenza, che tende incessantemente al male e che è continuamente aizzata dal mondo e dal demonio, il primo passo sarà di energicamente combatterla coi suoi potenti ausiliari. 2° Poichè quest’organismo soprannaturale ci fu dato per produrre atti deiformi, meritorii della vita eterna, dobbiamo moltiplicare i nostri meriti. 3° Ed essendosi la divina bontà degnata d’istituire i sacramenti, che producono in noi la grazia secondo la misura della nostra cooperazione, bisogna che li frequentiamo con quelle disposizioni migliori che ci sono possibili. Così conserveremo in noi la vita della grazia, anzi la faremo crescere indefinitamente.
§ I. Della lotta contro i nemici spirituali.
Questi nemici sono la concupiscenza, il mondo e il demonio; la concupiscenza, nemico interno che portiamo sempre con noi; il mondo e il demonio, nemici esterni, che attizzano il fuoco della concupiscenza.
I. Lotta contro la concupiscenza 193-1.
S. Giovanni descrisse la concupiscenza in quel celebre testo: “Omne quod est in mundo concupiscentia carnis est et concupiscentia oculorum et superbia vitæ” 193-2.
1° LA CONCUPISCENZA DELLA CARNE.
193. La concupiscenza della carne è l’amore disordinato dei piaceri dei sensi.
A) Il male. Il piacere non è cattivo in sè stesso; Dio lo permette ordinandolo ad un fine superiore, il bene onesto; se annette il piacere a certi atti buoni, lo fa per renderli più facili e attirarci così all’adempimento del dovere. Gustare moderatamente il piacere riferendolo al suo fine che è il bene morale e soprannaturale, non è male; anzi è atto buono, perchè tende a fine buono, che in ultima analisi è Dio. Ma volere il piacere indipendentemente da questo fine che lo giustifica, volerlo quindi come fine in cui uno si ferma, è un disordine, perchè è un andare contro l’ordine sapientissimo stabilito da Dio. E questo disordine ne trae seco un altro: quando si opera per il piacere, si è esposti ad amarlo con eccesso, perchè non si è più guidati dal fine che impone dei limiti a questa smodata sete del piacere che tutti ci punge.
194. Così Dio sapientemente volle che fosse unito un certo piacere all’atto del nutrirsi per stimolarci a sostenere le forze del corpo. Ma, come dice Bossuet 194-1, “gli uomini ingrati e carnali tolsero occasione da questo piacere per attaccarsi al loro corpo, anzichè a Dio che ne è l’autore. Il piacere del mangiare li fa schiavi; invece di mangiare per vivere, pare, come già diceva un antico e dopo di lui S. Agostino, che vivano per mangiare. Quelli stessi che sanno regolare i loro desideri e vanno a cibarsi per necessità di natura, ingannati dal piacere e tratti dai suoi allettamenti più in là del bisogno, oltrepassano i giusti limiti; si lasciano insensibilmente vincere dagli appetiti e non credono mai d’avere intieramente soddisfatto al bisogno fin tanto che il bere ed il mangiare ne solleticano il gusto”. Di qui eccessi nel bere e nel mangiare opposti alla temperanza. E che dire poi del piacere anche più pericolosa della voluttà, “di quella profonda e vergognosa piaga della natura, di quella concupiscenza che lega l’anima al corpo con vincoli così teneri e così violenti che costano tanta pena a disfarsene, e che cagiona nel genere umano disordini così terribili?”
195. Questo sensuale diletto è tanto più pericoloso, in quanto è diffuso per tutto il corpo. Ne è infetta la vista, perchè con gli occhi s’incomincia ad ingoiare il veleno dell’amore sensuale. Ne sono infette le orecchie, quando, con conversazioni pericolose e molli canti, si accendono o si alimentano le fiamme dell’amore impuro e quella segreta disposizione che abbiamo ai sensuali diletti. E lo stesso avviene degli altri sensi. — Ciò che aumenta il pericolo è che tutti questi sensuali diletti si eccitano a vicenda: quelli che parrebbero i più innocenti, se non si sta in guardia, preparano ai più colpevoli. Vi è perfino una mollezza e una delicatezza diffusa in tutto il corpo che, facendoci cercare riposo nel sensibile, lo risveglia e ne alimenta la vivacità. Si ama il corpo con un attaccamento che fa dimenticare l’anima; un’eccessiva premura della salute fa che si accarezzi il corpo in tutto; e così questi vari diversi sentimenti sono come altrettante diramazioni della concupiscenza della carne 195-1.
196. B) Il rimedio a un sì gran male è la mortificazione dei sensuali diletti; perchè, dice S. Paolo: “Quelli che sono di Cristo, crocifiggono la carne con i suoi vizi e le sue cupidigie: Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis” 196-1. Ora crocifiggere la carne, come dice l’Olier 196-2, significa legare, infrenare, soffocare internamente tutti gli impuri e sregolati desideri che sentiamo nella nostra carne; significa pure mortificare i sensi esterni che ci mettono in comunicazione con gli oggetti del di fuori ed eccitano in noi pericolosi desideri. Il motivo fondamentale che ci obbliga a praticare questa mortificazione sono le promesse battesimali.
197. Per il battesimo, che ci fa morire al peccato e c’incorpora a Cristo, noi siamo obbligati a praticare questa mortificazione dei sensuali diletti; perchè, “secondo S. Paolo, non siamo più debitori alla carne da vivere secondo la carne, ma siamo obbligati a vivere secondo lo spirito; e se viviamo secondo lo spirito, camminiamo pure secondo lo spirito che c’imprime nel cuore l’amore alla croce e la forza di portarla” 197-1.
Il battesimo d’immersione, col suo simbolismo, ci mostra la verità di questa dottrina: immerso nell’acqua, il catecumeno vi muore al peccato e alle sue cause, e uscito che è, partecipa ad una vita nuova, alla vita di Gesù risorto. Tal è l’insegnamento di S. Paolo 197-2: “Morti al peccato, come potremmo ancor vivere in esso? Non sapete forse che quanti fummo battezzati in Cristo Gesù, nella morte di lui fummo battezzati? Fummo sepolti insieme con lui pel battesimo nella morte, affinchè come fu Cristo risuscitato da morte dalla gloria del Padre, così anche noi in novità di vita si cammini”. L’immersione battesimale significa dunque la morte al peccato e l’obbligo di lottare contro la concupiscenza che tende al peccato; e l’uscita dall’acqua esprime la nuova vita, onde partecipiamo alla vita risorta del Salvatore 197-3. Il battesimo quindi ci obbliga a mortificare la concupiscenza che resta in noi, e ad imitare Nostro Signore che, crocifiggendo la carne sua, ci meritò la grazia di crocifiggere la nostra. I chiodi con cui la crocifiggiamo sono appunto i vari atti di mortificazione che facciamo.
Così grave è quest’obbligo di mortificare i sensuali diletti che ne dipende la nostra salvezza e la nostra vita spirituale: “Perchè, se vivete secondo la carne, spiritualmente morrete; se poi con lo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete: Si autem secundum carnem vixeritis, moriemini; si autem spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis” 197-4.
198. Perchè intera sia la vittoria, non basta rinunziare ai piaceri peccaminosi (il che è di precetto), ma bisogna pure sacrificare i piaceri pericolosi che conducono quasi infallibilmente al peccato, in virtù del principio: “qui amat periculum in illo peribit“; anzi è necessario privarsi di alcuni piaceri leciti per rinvigorire la nostra volontà contro gli allettamenti dei piaceri proibiti: chiunque infatti vuol gustare senza freno alcuno di tutti i diletti permessi, è molto vicino a scivolare in quelli che non lo sono.

NOTE
190-1 I Cor., III, 8.
190-2 Hebr., VI, 7-8.
190-3 II Cor., VI, 1.
193-1 Si veda l’ammirabile trattatello del Bossuet sulla Concupiscenza.
193-2 I Joan., II, 16: “Tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita, non viene dal Padre.”
194-1 Tr. della Concupiscenza, cap. V.
195-1 In questo capitolo non facciamo che compendiare il cap. V di Bossuet.
196-1 Galat., V, 24.
196-2 Catéch. chrétien, I Parte, lez. V.
197-1 Cat. cr., lez. IX.
197-2 Rom., VI, 2-4.
197-3 “Non è snaturare il pensiero dell’Apostolo il tradurlo in stile teologico moderno: i sacramenti sono segni efficaci che producono ex opere operato ciò che significano. Ora il battesimo rappresenta sacramentalmente la morte e la vita di Cristo. Bisogna dunque che produca in noi una morte mistica nella sua essenza ma reale nei suoi effetti, morte al peccato, alla carne, all’uomo vecchio, ed una vita conforme a quella du Gesù Cristo risorto”. (Prat, Théol. de S. Paul, l. III, ch. II, sect. deux., 11; La Teologia di S. Paolo, Parte Prima, p. 215, Salesiana, Torino).
197-4 Rom., VIII, 13.

Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.
Ultima revisione del testo: 30 dicembre 2005.
Ultima revisione dell’HTML: 28 dicembre 2005.