Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1579-1599)


Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. Capitolo IV. Questioni controverse. Epilogo: le tre vie e il ciclo liturgico. Preghiera: O Jesu vivens in Maria. FINE.

EPILOGO:
LE TRE VIE E IL CICLO LITURGICO 1579-1.
1579.   Percorse le tre vie o le tre tappe
che conducono alla perfezione, non sarà inutile vedere come ogni anno la Chiesa
ci inviti nella liturgia a ricominciare e a perfezionare l’opera della
nostra santificazione coi suoi tre gradi, la purificazione,
l’illuminazione e l’unione con Dio. La vita spirituale è infatti
una serie di continui ricominciamenti e il ciclo liturgico viene
ogni anno a spronarci a sforzi novelli.
Nella liturgia
tutto si riferisce al Verbo Incarnato, mediatore così di religione come
di redenzione, che ci viene presentato non solo come modello da imitare, ma
anche come capo di un corpo mistico che viene a vivere nelle membra onde far
praticare le virtù di cui diede l’esempio. Ogni festa quindi e ogni periodo
liturgico ci richiama qualcuna delle virtù di Gesù, recandoci le grazie da lui
meritate onde colla sua collaborazione le ricopiamo in noi.
1580.   L’anno liturgico, che corrisponde
alle quattro stagioni dell’anno, armonizza pur bene con le quattro principali
fasi della vita spirituale 1580-1. L’Avvento corrisponde alla
via purgativa; il tempo di Natale e dell’Epifania è in
relazione colla via illuminativa in cui seguiamo Gesù imitandone le
virtù; il tempo della Settuagesima e della Quaresima adduce una seconda purificazione dell’anima più profonda della prima, il tempo
pasquale è la via unitiva, con l’unione a Gesù risuscitato, unione
che si perfezione coll’Ascensione e colla discesa dello Spirito Santo. —
Spieghiamo brevemente questo ciclo liturgico.
1581.   1° L’Avvento, che significa
venuta, è una preparazione alla venuta del Salvatore e quindi un periodo di
purificazione e di penitenza.
La Chiesa ci
invita a meditare sulla triplice venuta di Gesù: la venuta sulla terra con
l’incarnazione, l’ingresso nelle anime con la grazia, e la comparsa alla fine
dei secoli a giudicar gli uomini. Vole però richiamar la nostra attenzione
principalmente sulla prima venuta; onde ci rammenta i sospiri dei patriarchi e
dei profeti per farci desiderar con loro la venuta del promesso Liberatore e lo
stabilimento o il rassodamento del suo regno nell’anime nostre. È quindi tempo
di santi desideri e di ardenti suppliche con cui chiediamo a Dio di far
discendere su di noi la rugiada della grazia e soprattutto lo stesso Redentore:
Rorate, cæli, desuper, et nubes pluant justum! La preghiera si fa più
premurosa colle antifone maggiori, O Emmanuel, o Rex gloriæ, o Oriens,
etc.
, che, richiamandoci i gloriosi titoli dati dai profeti al Messia e i
tratti principali della sua missione, ci fanno desiderare la venuta de Colui che
solo può alleviare le nostre miserie.
1582.   Ma è pur tempo di
penitenza.
La Chiesa ci rammenta il giudizio universale a cui dobbiamo prepararci con
l’espiazione dei peccati; e la predicazione di S. Giovanni Battista
c’invita a far penitenza per preparare la via al Salvatore: “Parate viam
Domini, rectas facite semitas ejus
” 1582-1. Anticamente si digiunava tre volte la
settimana, come si fa ancora in certi Ordini religiosi, e se ora la Chiesa non
impone più il digiuno ai suoi figli, li esorta però a supplirvi con altre
mortificazioni, adoprando a tal fine nelle Messe del tempo il colore violaceo,
che è simbolo di duolo.
È chiaro che
questi santi desideri e queste pratiche di penitenza tendono a purificar
l’anima, preparandola così al regno di Gesù.
1583.   2° Ed eccoci al tempo di
Natale:
il Verbo ci si presenta nell’infermità della carne, colle grazie ma
anche colle debolezze dell’infanzia, invitandoci ad aprirgli il cuore onde
potervi regnar da padrone e comunicarci le sue disposizioni e le sue virtù.
Comincia così la via illuminativa: purificati dalle colpe, distaccati dal
peccato e dalle cause che vi ci potrebbero far ricadere, c’incorporiamo sempre
più a Gesù onde partecipare ai suoi annientamenti, all’umiltà,
all’obbedienza, alla povertà, sì bene da lui praticate nella
natività e nelle circostanze che la seguirono. Ad accoglierlo sulla terra, che
viene a riscattare, ci sono appena pochi pastori e pochi savi dell’Oriente che
gli porgono i loro ossequi; i Giudei che egli elesse per suo popolo non si
degnano di riceverlo: “in propria venit et sui eum non
receperunt
” 1583-1. È costretto a fuggire in Egitto, e,
tornatone, si va a seppellire in un paesucolo della Galilea, ove passa
trent’anni, crescendo in sapienza e in scienza insieme coll’età, lavorando
manualmente come un povero operaio e obbedendo in tutto a Maria e a Giuseppe:
tal è lo spettacolo offertoci dalla liturgia nel tempo del Natale e
dell’Epifania, per metterci sott’occhio gli esempi che dobbiamo imitare.
E nello stesso tempo c’invita ad adorare il Figlio di Dio tanto più
profondamente quanto più si volle per noi annientare, a ringraziarlo ed
amarlo:sic nos amantem quis non redamaret?
1584.   3° Ma, prima di potere assaporare i
gaudii dell’unione divina, ci vuole una nuova purificazione, più dura e
più profonda della prima, della quale il tempo della Settuagesima e della
Quaresima ci porge proprizia occasione.
La
Settuagesima è come il preludio della Quaresima. La Chiesa, mettendoci
sott’occhio nella assegnata lezione della S. Scrittura il racconto
della caduta dell’uomo, dei peccati che gli tennero dietro, del diluvio che ne
fu il castigo, della vita santa dei Patriarchi che ne fu l’espiazione, c’invita
a riandare nell’amarezza dell’anima tutti i nostri peccati, a detestarli
sinceramente, ad espiarli con generosa penitenza. i mezzi da lei propostici
sono: 1) il lavoro o il fedele adempimento dei doveri del proprio
stato per amor di Dio: “ite et vos in vineam meam“; 2) la lotta
contro le passioni:
nell’Epistola ci paragona ad atleti che corrono o che
combattono per ottener la corona e c’invita a castigare il corpo e a ridurlo in
servitù; 3) la volontaria accettazione dei patimenti e delle prove a
cui siamo giustamente condannati, e l’umile preghiera onde trarne
profitto: “Circumdederunt me gemitus mortis… et in tribulatione meâ
invocavi Dominum
” 1584-1.
1585.   A questi mezzi la
Quaresima
aggiunge il digiuno, l’astinenza e l’elemosina, per lottar
vittoriosamente contro le tentazioni; e noi li praticheremo in unione con
Gesù
, che si ritira quaranta giorni nel deserto a farvi penitenza per noi e
acconsente ad essere tentato per insegnarci il modo di resistere al demonio. Il
prefazio della Messa ci dirà che il digiuno rintuzza i vizi, innalza i cuori e
ottiene aumento di virtù e di meriti.
La scena del
Tabor, narrata nella domenica seconda, ci mostrerà che la penitenza ha le sue
delizie quando è associata alla preghiera e si leva lo sguardo s Dio a
chiedergli soccorso: “Oculi mei semper ad Dominum, quia ipse evellet de
laqueo pedes meos
” 1585-1. L’Introito della domenica
quarte c’infonderà nuovo coraggio, facendoci intravvedere i gaudi del paradiso
Lætare Jerusalem“, di cui la santa comunione, simboleggiata nella
moltiplicazione dei pani, ci dà già un saggio.
1586.   Colla domenica di
Passione
s’inalbera il vesillo della Croce: “Vexilla Regis prodeunt“; la nuda
croce, perchè l’immagine del divin Crocifisso viene velata in segno di duolo e
di tristezza, ad insegnarci che ci sono momenti in cui non vediamo che
tribolazioni senza sentire alcuna consolazione. Ma l’Epistola della Messa ci
conforterà presentandoci il nostro Pontefice che coll’effusione del sangue entra
nel Santo dei Santi, e ripetendoci che la Croce, simbolo di morte, divenne per
lui fonte di vita “ut unde mors oriebatur inde vita resurgeret“.

La domenica della
Palme, seguita subito dai dolorosi misteri di Cristo, c’insegnerà quanto
effimeri siano anche i più ben meritati trionfi della terra e come vi succedano
spesso le più profonde umiliazioni. L’anima angosciata leva allora un grido di
dolore: Deus, Deus meus, respice in me: quare me dereliquisti 1586-1“; è il grido di Gesù nel giardino degli
Ulivi e sul Calvario; è il grido dell’anima cristiana visitata da pene interiori
o in preda alla calunnia. Ma l’Epistola viene a riconfortarci, stimolandoci ad
unirci agli interni sentimenti di Gesù, che obbedisce sino alla morte e morte di
croce e che viene presto ricompensato con tale esultazione che ogni ginocchio si
piega dinanzi a lui; onde, se ne partecipiamo i patimenti, avremo pur parte ai
suoi trionfi, come dice S. Paolo: “Si tamen compatimur ut et
conglorificemur
” 1586-2.
1587.   4° La Resurrezione e il
ciclo pasquale ci richiamano la vita gloriosa di Gesù, immagine
della vita unitiva. Vita più celeste che terrestre: Gesù, nel corso del
suo ministero, era sempre vissuto sulla terra, lavorando, conversando con gli
uomini, esercitando l’apostolato; dopo la risurrezione vive più separato che mai
da tutte le cose esterne, facendo solo rare apparizioni agli apostoli a dare gli
ultimi insegnamenti, e poi ritorna al padre: “apparens eis et loquens de
regno Dei
” 1587-1.
È immagine delle
anime che, giunte alla via unitiva, cercano ormai la solitudine per
conversare intimamente con Dio; e se i doveri del loro stato le obbligano a
trattar cogli uomini, lo fanno solo per santificarli; studiandosi di accostarsi
all’ideale proposto da S. Paolo: 1587-2 “Se dunque risorgeste con Cristo,
cercate le cose di lassù, dove Cristo è assiso alla destra di Dio; alle cose di
lassù aspirate, non a quelle della terra; moriste infatti e la vostra vita è
ascosa [sic] con Cristo in Dio”.
Coll’Ascensione un nuovo gradino: Gesù vive
ormai in cielo alla destra del Padre e prega continuamente per noi; il suo
apostolato si fa anche più fecondo, perchè ci invia lo Spirito Santo, lo Spirito
santificatore, che trasforma gli Apostoli e per mezzo loro milioni di anime.
Parimenti i contemplativi, che colla mente e col cuore abitano già in cielo, non
cessano di pregare e di sacrificarsi per la salute dei fratelli, esercitando
così apostolato anche più fecondo.
1588.   La Pentecoste è la discesa
dello Spirito Santo nelle singole anime, ad operarvi in modo più lento e più
nascosto la mirabile trasformazione effettuata negli Apostoli. Il mistero della
Santissima Trinità viene a rimetterci sott’occhio il grande oggetto della
fede e della religione, la causa efficiente ed esemplare della nostra
santificazione; e le feste del Santissimo Sacramento e del Sacro
Cuore
ci ripetono che Gesù, nell’Eucarestia ove palesa i tesori del Sacro
suo Cuore, merita le nostre adorazioni e il nostro amore e che è nello stesso
tempo il gran Religioso di Dio, per cui e in cui possiamo rendere all’adorabile
Trinità gli ossequi che le sono dovuti.
Le varie
domeniche che seguono la Pentecoste rappresentano l’intiero svolgimento
dell’opera dello Spirito Santo non solo nella Chiesa ma anche in ogni anima
cristiana, e ci invitano quindi a produrre, sotto l’azione dello Spirito Santo,
copiosi frutti di salute fino a quel giorno in cui andremo a raggiungere in
cielo Colui che vi ci ha preceduti a prepararci il posto.
1589.   Stanno in questo ciclo liturgico le
feste dei Santi. Possente stimolo per noi gli esempi di costoro che,
membri di Cristo come noi, ne imitarono le virtù non ostante tutte le tentazioni
e tutti gli ostacoli. Ci dicono con S. Paolo: “Siate imitatori miei come io
di Cristo: imitatores mei estote sicut et ego Christi” 1589-1; e leggendo nel Breviario il racconto
delle eroiche loro virtù, ripetiamo la parola di Agostino: “Tu non poteris
quod isti, quod istæ?
“.
Rammenteremo poi
in modo particolare che la Regina degli Angeli e dei Santi, la Madre del
Salvatore, è nella liturgia costantemente associata al Figlio e che non possiamo
onorare il Figlio senza onorarne, amarne, imitarne pure la Madre.
A questo modo,
sorretti e aiutati dalla Vergine Santissima e dai Santi e incorporati al Verbo
Incarnato, ci accostiamo a Dio percorrendo ogni anno il ciclo liturgico.

1590.   Ma, a trar veramente profitto dai
copiosi mezzi di santificazione offertici dalla Chiesa, conviene che attiriamo
in noi le interne disposizioni di Gesù. Ora c’è una bellissima ed
efficacissima preghiera che serve a ritrarre in noi questi sentimenti: è la
preghiera O Jesu vivens in Maria; e una sua breve spiegazione ci pare la
miglior chiusa di questo Compendio.
 
PREGHIERA: O
JESU VIVENS IN MARIA
 1590-1.








































O Jesu vivens in Mariâ,

O Gesù vivente in Maria,

veni et vive in famulis tuis,

vieni e vivi nei tuoi servi,

in spiritu sanctitatis tuæ,

nello spirito della tua santità,

in plenitudine virtutis tuæ,

nella pienezza della tua virtù,

in perfectione viarum tuarum,

nella perfezione delle tue vie,

in veritate virtutum tuarum,

nella verità delle tue virtù,

in communione mysteriorum tuorum,

nella comunione dei tuoi misteri,

dominare omni adversæ potestati,

domina ogni nemico potere,

in Spiritu tuo ad gloriam Patris.

nel tuo Spirito a gloria del Padre.

In questa
preghiera si possono distinguere tre parti di inuguale lunghezza: nella
prima si dice a chi si rivolge; nella seconda l’oggetto; nella
terza lo scopo finale.
1591.   1° A chi si rivolge questa
preghiera?
A Gesù vivente in Maria, cioè al Verbo Incarnato,
all’Uomo-Dio, che nell’unità di persona possiede insieme la natura divina e la
natura umana, e che è per noi causa meritoria, esemplare e
vitale di santificazione, n. 132. Ci rivolgiamo a lui in quanto
vive in Maria. Visse una sola volta fisicamente per nove mesi nel
virginale suo seno, ma non si tratta qui di questa vita che cessò colla nascità
di Gesù Bambino. Visse sacramentalmente in lei colla santa comunione;
presenza che ebbe fine coll’ultima comunione di presenza che ebbe fine
coll’ultima comunione di Maria sulla terra. Visse e vive tuttora misticamente in lei, come capo del corpo mistico di cui tutti i cristiani
sono membri, ma in grado assai superiore, perchè Maria occupa in questo corpo il
posto più onorevole, n. 155-162. Vive in lei col divino suo Spirito,
vale a dire con lo Spirito Santo che comunica alla santa sua Madre perchè operi
in lei disposizioni simili a quelle che opera nell’anima sua. In virtù dei
meriti e delle preghiere del Salvatore, lo Spirito Santo viene dunque a
santificare e a glorificare Maria, a renderla quanto più è possibile simile a
Gesù, cosicchè ella ne diviene la più perfetta copia vivente: “hæc est imago
Christi perfectissima quam ad vivum depinxit Spiritus Sanctus
“.
La qual cosa
viene bene spiegata dall’Olier 1591-1: “Ciò che Nostro Signore è per la
Chiesa, lo è per eccellenza per la santissima sua Madre. Ne è quindi la interna
e divina pienezza; ed essendosi sacrificato più specialmente per lei che per
tutta la Chiesa, a lei più che a tutta la Chiesa comunica la vita di Dio; gliela
comunica pure per gratitudine e in riconoscimento della vita che ricevette da
lei, perchè, avendo promesso a tutti i suoi membri di rendere centuplicatamente
ciò che avrà ricevuto dalla loro carità sulla terra, vuole rendere pure alla
Madre il centuplo della vita umana che ricevette dal suo amore e dalla sua
pietà; e questo centuplo è la infinitamente preziosa e stimabile vita divina…
Bisogna quindi considerare Gesù Cristo nostro Tutto come vivente nella Vergine
Santissima nella pienezza della vita di Dio, tanto di quella che ricevette dal
Padre quanto di quella che acquistò e meritò agli uomini col ministero della
vita ricevuta dalla Madre. In Maria fa pompa di tutti i tesori delle sue
richezze, dello splendore della sua bellezza e delle delizie della vita
divina… Abita in lei con pienezza; opera in lei nell’estensione del divino suo
Spirito; fa un cuore, un’anima, una vita sola con lei”. Questa vita diffonde
continuamente in lei, “amando in lei, lodando in lei, adorando in lei Dio Padre,
come in degno supplemento del suo cuore, in cui deliziosamente si dilata e si
moltiplica” 1591-2.
1592.   Gesù vive in Maria
con
pienezza
non solo per santificar lei, ma per santificar per lei gli altri
membri del suo corpo mistico: Maria è infatti, come dice S. Bernardo, il
canale per cui ci pervengono tutte le grazie meritate da suo Figlio: “totum
nos habere voluit per Mariam
“, n. 161.
Onde è cosa
insieme gratissima a Gesù e utilissima all’anima il rivolgerci a
Gesù vivente in Maria. “che vi può essere di più dolce e più accetto a
Gesù, dell’andarlo a cercare nel luogo delle sue delizie, su questo trono di
grazia, in mezzo a quest’adorabile fornace di sant’amore per il bene di tutti
gli uomini? Qual più copiosa vena di grazia e di vita di questo luogo in cui
abita Gesù come in fonte di vita agli uomini e in madre e nutrice della Chiesa”?

Abbiamo quindi il
diritto di essere pieni di fiducia quando preghiamo così Gesù vivente
in Maria.

1593.   2° Qual è l’oggetto di questa
preghiera?
È la vita interiore con tutti gli elementi che la
costituiscono; vita interiore che non è se non una partecipazione della vita che
Gesù comunica alla Madre e che lo supplichiamo di voler benignamente comunicare
anche a noi.
A) Essendo
Gesù vivente in Maria la fonte di questa vita, noi umilmente gli
chiediamo di venire in noi e di viverci, promettendo di docilmente
sottomettere alla sua azione: “VENI ET VIVE IN FAMULIS TUIS”.
a)
Viene in noi come viene in Maria col divino suo Spirito, colla
grazia abituale: sempre che questa cresce in noi, vi cresce pure lo
Spirito di Gesù; onde ogni volta che facciamo un atto soprannaturale e
meritorio, questo divino Spirito viene in noi e ci rende l’anima sempre più
simile a quella di Gesù e a quella di Maria. Qual possente motivo per
moltiplicare e intensificare gli atti meritori, informandoli della divina
carità! (n. 236-248).
b)
Opera in noi con la grazia attuale che ci meritò e che ci
distribuisce per mezzo del divino suo Spirito: opera in noi il volere e il fare
operatur in nobis velle et perficere“, si fa principio di tutti i nostri
moti e delle interne disposizioni, così che i nostri atti non provengono che da
Gesù che ci comunica la sua vita, i suoi sentimenti, i suoi affetti, i suoi
desideri. Onde possiamo dir con S. Paolo: “Vivo non più io, ma vive in me
Gesù”.
c) Perchè
sia così, è necessario che come servi fedeli, in famulis tuis, ci
lasciamo guidare da lui e cooperiamo all’azione sua in noi; dobbiamo, come
l’umile Vergine, dire con tutta sincerità: “Ecco l’ancella del Signore, sia
fatto a me seconda la tua parola: ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum
verbum tuum
“. Consapevoli della nostra miseria e della nostra incapacità,
non abbiamo che da obbedire prontamente alle minime ispirazioni della grazia.
Onorevole servitù per noi, “cui servire regnare est“, servitù di amore
che ci assoggetta a Colui che ci è Padrone, è vero, ma anche Padre, e amico, e
che nulla ci comanda che non ci sia utile al bene dell’anima. Apriamo, apriamo
dunque il cuore a Gesù e al divino suo Spirito, perchè vi regni come regnò nel
cuore della Madre nostra Maria!
1594.   B) Essendo Gesù
fonte di
ogni santità
, gli chiediamo di vivere e di operare in noi “in spiritu
sanctitatis tuæ
“, per comunicarci l’interna sua santità.
C’è una doppia
santità in Gesù: una santità sostanziale che deriva dall’unione
ipostatica, e una santità partecipata che altro non è se non la grazia
creata: n. 105, questa lo preghiamo di comunicarci. Santità, che è prima di
tutto orrore del peccato e separazione da tutto ciò che vi ci può
condurre; sommo distacco dalle creature e da ogni egoismo; ma anche
partecipazione della vita divina, intima unione con le tre divine
persone, amor di Dio che signoreggia ogni altro affetto, insomma positiva
santità.
1595.   Ma essendo incapaci di acquistar da
soli tale santità, lo supplichiamo di venire in noi con la pienezza della sua
forza o della sua grazia
in plenitudine virtutis tuæ“. E trepidi di
possibili ribellioni da parte nostra, aggiungiamo pure colla Chiesa che si degni
di assoggettare al suo impero le ribelli nostre facoltà: “etiam rebelles ad
te propitius compelle voluntates
“.
Una grazia
efficace dunque invochiamo, quella grazia che, pur rispettando la
libertà, sa operare sui segreti congegni della volontà per ottenere il consenso;
una grazia che non si arresterà dinanzi alle istintive nostre ripugnanze o alle
pazze nostre resistenze, ma opererà dolcemente e fortemente in noi il volere ed
il fare.
1596.   C) E poichè la santità non
può acquistarsi senza l’imitazione del nostro divino Modello, lo
supplichiamo di farci camminare nella perfezione delle sue viein
perfectione viarum tuarum
“, vale a dire di farci imitare la sua condotta, il
suo modo d’agire, i suoi atti esterni ed interni in tutti ciò che hanno di più
perfetto. Chiediamo insomma di diventare viventi copie di Gesù, altri Cristi,
onde poter dire ai nostri discepoli come S. Paolo: siate imitatori miei,
come anch’io di Cristo: “imitatores mei estote sicut et ego Christi“.
Ideale così perfetto che da noi non possiamo attuarlo! Ma Gesù si fa nostra via:
ego sum via“, fulgida e vivente via, via, a così dire, ambulante
che ci trae dietro a sè: “Et ego cum exaltatus fuero a terrâ, omnia traham ad
me ipsum
” 1596-1. Da te, o divino Modello, ci lasceremo
dunque trarre e ci studieremo di imitare le tue virtù.
1597.   D) Per questo aggiungiamo:
in veritate virtutum tuarum“. Le virtù che chiediamo sono virtù
reali e non virtù apparenti. Ci sono di quelli che, sotto la vernice di
virtù puramente esterne, nascondono un animo pagano, sensuale e superbo. Non sta
qui la santità. Virtù interne ci porta Gesù, virtù penose,
l’umiltà, la povertà, la mortificazione, la perfetta castità di mente, di cuore,
di corpo; virtù unificative, lo spirito di fede, di confidenza e di
amore. Ecco ciò che fa il cristiano e lo trasforma in un altro Cristo.

1598.   E) Queste virtù Gesù praticò
specialmente nei suoi misteri, onde lo preghiamo di farci partecipare
alla grazia dei suoi misteri “in communione mysteriorum tuorum“. Misteri
sono certamente tutte le principali azioni di Nostro Signore, ma specialmente i
sei grandi misteri descritti dall’Olier nel suo Catechismo cristiano:
l’Incarnazione
, che c’invita a spogliarci di ogni amor proprio per
consacrarci totalmente al Padre in unione con Gesù: “Ecce venio ut faciam,
Deus, voluntatem tuam
“; la crocifissione, la morte e la
sepoltura, che esprimono i vari gradi di quella totale immolazione con
cui crocifiggiamo la guasta natura studiandoci di farla morire e seppellirla per
sempre; la risurrezione e l’ascensione, che significano il
perfetto distacco dalle creature e la vita tutta celeste che bramiamo condurre
per andare in paradiso.
1599.   F) È chiaro che cosiffatta
perfezione non possiamo conseguire se Gesù non viene a dominare il noi su ogni potere nemico, la carne, il mondo e il demonio: “dominare omni
adversæ potestati
“. Questi tre nemici non desistono mai dai fieri loro
assalti, e non potranno mai essere annientati finchè saremo sulla terra; ma
Gesù, che ne trionfò, può infrenarli e soggiogarli, dandoci grazie efficaci per
resistervi: questo umilmente gli chiediamo.
3° A più
facilmente ottenere questa grazia, dichiariamo che non miriamo con lui se non a
un solo scopo, la gloria del Padre che vogliamo procurare
coll’opera dello Spirito Santo: “In spiritu tuo ad gloriam Patris“.
Essendo venuto sulla terra a glorificare il Padre “Ego honorifico
Patrem
“, compia egli in noi l’opera sua e ci cominichi l’interna sua
santità, onde possiamo con lui e per lui glorificar questo Padre e fare che sia
glorificato intorno a noi! Saremo allora veramente membri del suo corpo mistico
e religioso di Dio: Gesù vivrà e regnerà nei nostri cuori per la maggior gloria
dell’adorabile Trinità.
Questa preghiera
è dunque una sintesi della vita spirituale e un riepilogo del nostro Compendio.

Terminandolo non
possiamo che benedire, e invitare i lettori a benedire con noi questo Dio
d’amore, questo amantissimo Padre, che, facendoci partecipare alla sua vita, ci
colmò nel suo Figlio di tutte le benedizioni.
BENEDICTUS
DEUS ET PATER DOMINI NOSTRI
JESU CHRISTI, QUI BENEDIXIT NOS IN OMNI BENEDICTIONE
SPIRITUALI IN CÆLESTIBUS IN CHRISTO.
FINE.
 
NOTE
1579-1 Dom Guéranger, L’Année liturgique;
Dom Leduc et Dom Baudot, Catéchisme liturgique; Dom
Festugière,
La liturgie catholique; F. Cavallera, Ascétisme et Liturgie.

1580-1 Sebbene non si distinguano che
tre vie
nella vita spirituale, vi è tale differenza tra le purificazioni passive
e la contemplazione soave da poterne fare due fasi nella via unitiva.

1582-1 Luc., III, 4.
1583-1 Joan., I, 11.
1584-1 Introito della domenica di Settuagesima.

1585-1 Introito della 3ª domenica di Quaresima.

1586-1 Introito della domenica delle Palme.

1586-2 Rom., VIII, 17.

1587-1 Act., I, 3.

1587-2 Col., III, 1-3.

1589-1 I Cor., IV, 16.
1590-1 Questa preghiera, composta dal
P. de
Condren
e perfezionata dall’Olier, si recita ogni giorno nel
Seminario di S.-Sulpizio dopo la meditazione. Il Ven. Libermann ne fece
un pio commento, Lettres, t. II, p. 506-522.
1591-1 G. G. Olier, Lettera CCCLXXXIII, t. I, p.
468, ed. 1885.
1591-2 G. G. Olier, Journée chrét., p. 395-396.

1596-1 Joan., XII, 32.