Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (12-33)

Di Adolfo Tanquerey – INTRODUZIONE § II. Le fonti della Teologia ascetica e mistica. I. Della Sacra scrittura. II. La Tradizione. III. La ragione illuminata dalla fede e  dall’esperienza. § III. Il metodo da seguire.

    

    § II. Le fonti della Teologia ascetica e mistica.
12.   Essendo la scienza spirituale un ramo della Teologia, è evidente che le loro fonti sono le stesse: anzitutto le fonti che contengono o spiegano il dato rivelato, la Scrittura e la Tradizione; poi le fonti secondarie, ossia tutte le conoscenze che ci vengono della ragione illuminata dalla fede e dall’esperienza. Non ci rimane dunque qui se non indicare l’uso che se ne può fare nella Teologia ascetica.
I. DELLA SACRA SCRITTURA.
Non vi troviamo certamente una sintesi della dottrina spirituale, ma ricchi documenti sparsi qua e là nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, sotto forma di dottrine, di precetti, di consigli, di preghiere e d’esempi.
13.   1° Dottrine speculative su Dio, sulla sua natura, sui suoi attributi, sulla sua immensità che penetra tutto, sulla infinita sua sapienza, sulla sua bontà, sulla sua giustizia, sulla sua misericordia, sulla provvidenziale sua azione che si esercita su tutte le creature, ma specialmente sugli uomini per salvarli; sulla sua vita intima, sulla generazione misteriosa dell’Eterna Sapienza o del Verbo, sulla processione dello Spirito Santo, vincolo naturale tra il Padre e il Figlio; sulle sue opere; in particolare su ciò che fece per l’uomo, per comunicargli una partecipazione della sua vita divina, per restaurarla dopo la caduta per mezzo dell’Incarnazione del Verbo e della Redenzione, per santificarla con i sacramenti e per preparargli in cielo le eterne delizie della visione beatifica e dell’amor puro. È evidente che questo insegnamento così nobile e così elevato è un potente stimolo per aumentare in noi l’amor di Dio e il desiderio della perfezione.
14.   2° Un insegnamento morale composto di precetti e di consigli: il Decalogo, che si compendia tutto nell’amor di Dio e nell’amor del prossimo e quindi nel culto divino e nel rispetto dei diritti altrui; il così nobile insegnamento dei Profeti, che, ricordando continuamente la bontà, la giustizia e l’amor di Dio pel suo popolo, lo allontana dal peccato e specialmente dalle pratiche idolatriche, gli inculca il rispetto e l’amor di Dio, la giustizia, l’equità, la bontà verso tutti, ma specialmente verso i deboli e gli oppressi; i saggi consigli del libri sapienziali, che già contengono un’intiera esposizione delle virtù cristiane; sopra tutto poi l’ammirabile dottrina di Gesù, la sintesi ascetica condensata nel discorso del Monte; e la dottrina più alta ancora che troviamo nei discorsi riferiti da S. Giovanni e che egli commenta nelle sue Epistole; la teologia spirituale di S. Paolo, così ricca di idee dommatiche e d’applicazioni pratiche. Il pallido compendio che tosto ne daremo ci mostrerà che il Nuovo Testamento è già un codice di perfezione.
15.   3° Preghiere per nutrire la nostra pietà e la nostra vita interiore. Ve ne sono forse delle più belle di quelle che troviamo nei Salmi e che la Chiesa giudicò così atte a glorificar Dio e a santificarci, che le trasportò nella sua liturgia, nel Messale e nel Breviario? Altre pur ve ne sono che si trovano sparse qua e là nei libri storici o sapienziali; e c’è soprattutto il Pater, la preghiera più bella, più semplice, più compita nella sua brevità, che si possa trovare; e poi la preghiera sacerdotale di N. Signore, senza parlare delle dossologie che si trovano già nelle Epistole di S. Paolo e nell’Apocalisse.
16.   4° Esempi che ci conducono alla pratica della virtù. a) Il Vecchio Testamento ci fa sfilare dinanzi una serie di patriarchi, di profeti e d’altri personaggi illustri, che non sono stati certo senza debolezze, ma le cui virtù furono celebrate da S. Paolo 16-1 e ampiamente descritte dai Padri, che li propongono alla nostra imitazione. Chi infatti non ammira la pietà di Abele e di Enoch, la soda virtù di Noè che pratica il bene in mezzo ad una generazione corrotta, la fede e la confidenza d’Abramo, la castità e la prudenza di Giuseppe, il coraggio, la saviezza, la costanza di Mosè, l’intrepidezza, la pietà, la saggezza di Davide, la vita austera dei Profeti, il valore dei Maccabei, e tanti altri esempi che sarebbe troppo lungo il ricordare? b) Nel Nuovo Testamento, ecco innanzi tutto Gesù che ci appare come il tipo ideale della santità, e poi Maria e Giuseppe, suoi fedeli imitatori, poi gli apostoli che, prima imperfetti, si consacrano poi corpo e anima alla predicazione del Vangelo e alla pratica delle virtù cristiane ed apostoliche, cosicchè assai più eloquentemente con l’esempio che con le parole ci dicono “Imitatores mei estote sicut et ego Christi“. Se molti di questi santi personaggi ebbero delle debolezze, il come le hanno poi riparate dà anche maggior valore ai loro esempi, mostrandoci il modo di riparare le proprie colpe con la penitenza.
Per dare un’idea dei tesori ascetici che si trovano nella Sacra Scrittura, faremo nell’Appendice un compendio sintetico della spiritualità dei Sinottici, di S. Paolo e di S. Giovanni.
II. LA TRADIZIONE.
17.   La Tradizione compie la Sacra Scrittura, trasmettendoci delle verità che in questa non sono contenute, e inoltre la interpreta in modo autentico. Si manifesta col magistero solenne e col magistero ordinario.
1° Il magistero solenne, che consiste propriamente nelle definizioni dei Concilii e dei Sommi Pontefici, non s’è occupato che raramente di questioni ascetiche e mistiche strettamente dette; ma dovette spesso intervenire per chiarire e determinare le verità che costituiscono il fondamento della spiritualità: come la vita divina considerata nella sua sorgente, l’elevazione dell’uomo allo stato soprannaturale, il peccato originale e le sue conseguenze, la redenzione, la grazia comunicata all’uomo rigenerato, il merito che accresce in noi la vita divina, i sacramenti che conferiscono la grazia, il santo sacrifizio della Messa in cui sono applicati i frutti della redenzione. Nel corso dell’opera dovremo giovarci di tutte queste definizioni.
18.   2° Il magistero ordinario s’esercita in due modi, in modo teorico e in modo pratico.
A) L’insegnamento teorico ci è dato per via negativa con la condanna delle proposizioni dei falsi mistici, e per via positiva con la dottrina comune dei Padri e dei Teologi o con le conclusioni che scaturiscono dalle vite dei santi.
a) Sorsero in diversi tempi dei falsi mistici che alterarono la vera nozione della perfezione cristiana, come gli Encratiti e i Montanisti dei primi secoli, i Fraticelli e certi mistici tedeschi del Medio Evo, Molinos e i Quietisti nei tempi moderni; la Chiesa, condannandoli, ci additò gli scogli da evitare e insieme la via da seguire.
19.   b) E d’altra parte si formò gradatamente una dottrina comune su tutte le grandi questioni di spiritualità, che è come il commentario vivente degli insegnamenti biblici, e che si trova presso i Padri, i teologi e gli autori spirituali; quando si leggono, si è colpiti dell’unanimità che manifestano su tutti i punti vitali che si riferiscono alla natura della perfezione, ai mezzi necessari per acquistarla, alle principali tappe da percorrere. Rimane certamente qualche punto controverso, ma su questioni accessorie, e queste discussioni fanno anche meglio risaltare l’unanimità morale che esiste sul resto. La tacita approvazione che la Chiesa dà a questo insegnamento comune è per noi una sicura garanzia di verità.
20.   B) L’insegnamento pratico si trova principalmente nella canonizzazione dei Santi che hanno insegnato e praticato tutto questo complesso di dottrine spirituali. Si sa con quale minuziosa cura si procede alla revisione dei loro scritti e all’esame delle loro virtù; dallo studio di questo documenti è facile dedurre dei principii di spiritualità sulla natura e sui mezzi di perfezione, che saranno l’espressione del pensiero della Chiesa. Per convincersene, basta leggere l’opera così bene documentata di Benedetto XIV: De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione, o qualcuno dei processi di Canonizzazione, oppure biografie di Santi scritte secondo le regole d’una saggia critica.
III. LA RAGIONE ILLUMINATA DALLA FEDE E DALL’ESPERIENZA.
21.   La ragione naturale, essendo un dono di Dio assolutamente necessario all’uomo per conoscere la verità sia naturale che soprannaturale, ha una parte larghissima nello studio della spiritualità, come di tutti gli altri rami della scienza ecclesiastica. Trattandosi però di verità rivelate, ha bisogno d’essere guidata e perfezionata dai lumi della fede; e, per applicare i principi generali alle anime, deve appoggiarsi sull’esperienza psicologica.
22.   1° Il primo suo ufficio è di raccogliere e coordinare i dati della Scrittura e della Tradizione; perchè, essendo essi sparsi in vari libri, hanno bisogno d’essere riuniti per formare un tutto. Inoltre quei sacri detti furono pronunziati in quella data circostanza, in occasione di quella data questione, in quel dato ambiente; e così pure i testi della Tradizione furono spesso motivati da circostanze varie di tempi e di persone. a) Per coglierne quindi il valore, bisogna collocarli nel loro ambiente, confrontarli con insegnamenti analoghi, poi aggrupparli e interpretarli alla luce del complesso delle verità cristiane. b) Fatto questo primo lavoro, si può da questi principi trarre delle conclusioni, mostrarne la saldezza e le molteplici applicazioni alle mille particolarità della vita umana nelle più svariate circostanze. c) Principi e conclusioni saranno in fine coordinati in una vasta sintesi e formeranno una vera scienza. d) A lei pure spetta il difendere la dottrina ascetica dai suoi detrattori. Vi sono molti che l’assaltano in nome della ragione e della scienza e non vedono che illusione là dove sono invece sublimi realtà. Rispondere a questi critici, appoggiandosi alla filosofia e alla scienza, ecco il preciso ufficio della ragione.
23.   2° Essendo la spiritualità una scienza vissuta, bisogna mostrare storicamente come è stata praticata; è quindi necessario leggere biografie di Santi antichi e moderni, di varie condizioni e di diversi paesi, per rilevare in qual modo le regole ascetiche sono state interpretate e adattate ai diversi tempi, alle varie nazioni, e ai doveri particolari del proprio stato. E poichè nella Chiesa non ci sono solo dei santi, bisogna rendersi ben conto degli ostacoli che si oppongono alla pratica della perfezione e dei mezzi usati per trionfarne. Occorrono quindi studi psicologici e alla lettura bisogna aggiungere l’osservazione.
24.   3° Spetta pure alla ragione, illuminata dalla fede, applicare i principi e le regole generali a ogni persona in particolare tenendo conto del temperamento, del carattere, dell’età e del sesso, della posizione sociale, dei doveri del suo stato, come anche delle attrattive soprannaturali della grazia, badando pure alle regole sul discernimento degli spiriti.
Per adempiere questo triplice ufficio, occorre non solo un’acuta intelligenza, ma anche un giudizio retto, molta prudenza e discernimento. Vi si deve aggiungere lo studio della psicologia pratica, dei temperamenti, delle malattie nervose e degli stati morbosi che hanno tanta influenza sulla mente e sulla volontà, ecc. Trattandosi poi d’una scienza soprannaturale, non si deve dimenticare che al lume della fede spetta una parte preponderante, e che i doni dello Spirito Santo mirabilmente la compiono; specialmente il dono della scienza, che dalle cose umane ci eleva fino a Dio, il dono dell’intelletto che ci fa meglio approfondire le verità rivelate, il dono della sapienza che ce le fa discernere e gustare, il dono del consiglio che ci aiuta ad applicarle a ciascuno in particolare.
Ecco perchè i Santi, che si lasciano condurre dallo Spirito di Dio, sono pure i più atti a meglio intendere e meglio applicare i principi della vita soprannaturale; hanno una certa connaturalità con le cose divine, che le fa loro meglio intendere e gustare: “Abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti en parvulis” 24-1.
§ III. Il metodo da seguire 25-1.
Per trarre maggior profitto dalle fonti che abbiamo descritte, quale metodo si dovrà seguire? Il metodo sperimentale e descrittivo, o il metodo deduttivo, oppure l’unione dei due? Quale spirito deve presiedere all’uso di questi metodi?
25.   1° Il metodo sperimentale, descrittivo o psicologico, consiste nell’osservare in sè o negli altri i fatti ascetici o mistici, nel classificarli e coordinarli, per dedurne i segni o le note caratteristiche di ciascuno stato, le virtù o le disposizioni che convengono a ognun di loro, e ciò senza darsi pensiero della natura o della causa di questi fenomeni, senza chiedere se procedono dalle virtù, dai doni dello Spirito Santo o da grazie miracolose. Questo metodo nella parte positiva ha molti vantaggi, perchè bisogna pure ben conoscere i fatti prima di spiegarne la natura e la causa.
26.   Se però venga adoperato in modo esclusivo:
a) Questo metodo non può costituire una vera scienza; ne somministra certamente i fondamenti, cioè i fatti e le induzioni immediate che se ne possono trarre, può anche accertare quali sono i mezzi pratici che generalmente riescono meglio. Tuttavia, finchè non si risalga alla natura intima e alla causa di questi fatti, si fa piuttosto della psicologia che della teologia; o se si descrivono minutamente i mezzi per praticare questa o quell’altra virtù, non si mostra abbastanza il movente e lo stimolo che aiuta a praticarla.
b) Si è quindi esposti a cadere in opinioni mal fondate. Se nella contemplazione non si distingue ciò che è miracoloso, come l’estasi e la levitazione, da ciò che ne costituisce l’elemento essenziale, cioè lo sguardo prolungato e affettuoso su Dio sotto l’influsso d’una grazia speciale, se ne potrà troppo facilmente concludere che ogni contemplazione è miracolosa, il che è contrario alla dottrina comune.
c) Molte controversie sugli stati mistici s’attenuerebbero se alle descrizioni di questi stati s’aggiungessero le distinzioni e le esattezze fornite dallo studio teologico. Così la distinzione tra contemplazione acquisita e infusa fa meglio intendere certi stati d’animo molto reali e conciliare certe opinioni che, a prima vista, sembrano contradittorie. Parimenti, nella contemplazione passiva vi sono molti gradi: ve ne sono di quelli in cui basta l’uso perfezionato dei doni, ve ne sono altri in cui Dio deve intervenire per disporre le nostre idee e aiutarci a trarne delle conclusioni che colpiscono, ve ne sono infine di quelli che non si possono bene spiegare che con conoscenze infuse. Tutte queste distinzioni sono il risultato di lunghe e pazienti ricerche speculative insieme e pratiche; facendole, si ridurrebbe il numero dei disparari che separano le varie scuole.
27.   2° Il metodo dottrinale o deduttivo consiste nello studiare accuratamente ciò che insegnano sulla vita spirituale la Scrittura, la Tradizione, la Teologia, in particolare la Somma di S. Tommaso, e dedurne conclusioni sulla natura della vita cristiana, sulla sua perfezione, sul suo obbligo e sui mezzi di raggiungerla, senza darsi abbastanza pensiero dei fatti psicologici, del temperamento e del carattere delle persone dirette, delle loro inclinazioni, dei risultati prodotti su questa o su quell’altra anima dai diversi mezzi; senza studiare in particolare i fenomeni mistici descritti dai Santi che li provarono, come S. Teresa, S. Giovanni della Croce, S. Francesco di Sales, ecc. ecc.; o almeno senza tenerne abbastanza conto. Essendo noi facilmente soggetti ad ingannarci nelle nostre deduzioni, particolarmente quando le moltiplichiamo, è cosa prudente il verificarle confrontando i fatti. Se, per esempio, si viene a conoscere che la contemplazione infusa è abbastanza rara, si metterà qualche restrizione alla tesi sostenuta da alcune scuole, che tutti sono chiamati ai più alti gradi di contemplazione 27-1.
28.   3° Unione dei due metodi. A) Bisogna dunque saper combinare insieme i due metodi.
È quello veramente che fanno in generale gli autori, con questa differenza però che gli uni s’appoggiano di più sui fatti e gli altri sui principi 28-1. Noi cercheremo di tenere la via di mezzo, senza la pretensione di riuscirvi. a) I principi di teologia mistica che i grandi maestri dedussero dalle vertà rivelate ci aiuteranno a meglio osservare i fatti, ad analizzarli in modo più compìto, a ordinarli in modo più metodico, a interpretarli più saviamente; non dimenticheremo infatti che i mistici descrivono le loro impressioni, senza volerne, almeno il più delle volte, interpretare la natura. I principi ci aiuteranno pure a ricercare la causa dei fatti, tenendo conto delle verità già conosciute, e a coordinarli in modo da farne una vera scienza.
b) D’altra parte lo studio dei fatti ascetici e mistici correggerà ciò che vi sarebbe di troppo rigido e di troppo assoluto nelle conclusioni puramente dialettiche; non vi può infatto essere opposizione assoluta tra i principii e i fatti; se dunque l’esperienza mostra che il numero dei mistici è ristretto, non bisogna affrettarsi a conchiudere che ciò dipende unicamente dalla resistenza alla grazia. Ed è pure utile il chiedersi perchè nelle cause di canonizzazione si giudica della santità molto più dalla pratica delle virtù eroiche che dal genere d’orazione o di contemplazione; questi fatti potranno di fatto dimostrare che il grado di santità non è sempre e necessariamente in relazione col genere e col grado d’orazione.
29.   B) Come fondere insieme i due metodi? a) Bisogna anzitutto studiare il dato rivelato quale ci è somministrato dalla Scrittura e dalla Tradizione, compresovi il magistero ordinario della Chiesa; e, con l’aiuto di questo dato, determinare, col metodo deduttivo, che cos’è la vita e la perfezione cristiana, quali i suoi vari gradi, quale il cammino progressivo generalmente tenuto per arrivare alla contemplazione, passando per la mortificazione e la pratica delle virtù morali e teologali; in che consiste questa contemplazione, sia nei suoi elementi essenziali, sia nei fenomeni straodinari che qualche volta l’accompagnano.
30.   b) A questo studio dottrinale bisogna aggiungere il metodo d’osservazione: 1) esaminare con cura le anime, le loro qualità e i loro difetti, la loro fisionomia speciale, le loro inclinazioni e le loro ripugnanze, i movimenti della natura e della grazia che in loro si producono; queste conoscenze psicologiche daranno modo di determinar meglio i mezzi di perfezione che meglio loro convengono, le virtù di cui hanno maggior bisogno e verso le quali la grazia le inclina, la loro corrispondenza a questa grazia, gli ostacoli che incontrano e i mezzi che riescono meglio per trionfarne. 2) Per allargare il campo della propria esperienza, si leggeranno attentamente le vite dei Santi, quelle specialmente che, senza dissimularne i difetti, mostrano il modo progressivo con cui li combatterono, come e con quali mezzi praticarono le virtù, se e come passarono dalla vita ascetica alla vita mistica e sotto quali influenze. 3) Nella vita dei contemplativi si dovranno pure studiare i vari fenomeni della contemplazione, dai primi incerti bagliori fino alle più alte vette, gli effetti di santità prodotti da queste grazie, le prove a cui furono sottoposti, le virtù che praticarono. Tutto ciò servirà a compiere e talora a rettificare le conoscenza teoriche che si erano acquistate.
31.   c) Con l’aiuto dei principii teologici e dei fenomeni mistici ben studiati e ben classificati, si potrà più facilmente risalire alla natura della contemplazione, alle sue cause, alle sue specie, e distinguere ciò che v’è in essa di normale e di straordinario. 1) Si cercherà in quale misura i doni dello Spirito Santo sono i principii formali della contemplazione e come bisogna coltivarli per mettersi nelle disposizioni interiori favorevoli alla contemplazione. 2) Si esaminerà se i fenomeni debitamente accertati si spiegano tutti coi doni dello Spirito Santo, se qualcuno non suppone specie infuse, e come esse operino nell’anima; oppure se è l’amore che produce questi stati spirituali senza nuove cognizioni. 3) Si potrà allora veder meglio in che consiste lo stato passivo, in quale misura l’anima vi resta attiva, la parte di Dio e quella dell’anima nella contemplazione infusa; ciò che in questo stato è ordinario e ciò che diviene straordinario e preternaturale. Così si potrà studiar meglio il problema della vocazione allo stato mistico e del numero più o meno grande dei veri contemplativi.
Procedendo così, avremo maggior probabilità d’arrivare alla verità e a conclusioni pratiche per la direzione delle anime; e uno studio di questo genere diventerà non meno attraente che santificante.
32.   4° Con quale spirito si deve seguir questo metodo? Qualunque sia il metodo usato, è necessario studiare questi difficili problemi con molta calma e ponderazione, allo scopo di conoscere la verità, e non di far trionfare ad ogni costo il sistema da noi preferito.
a) Bisogna quindi rilevare e mettere in luce ciò che è certo o comunemente ammesso, e riporre in un secondo piano ciò che è controverso. La direzione da dare alle anime non dipende dalle questioni controverse, ma dalle dottrine comunemente ricevute. Vi è unanimità in tutte le scuole nel riconoscere che la rinunzia e la carità, il sacrifizio e l’amore sono necessari a tutte le anime e in tutte le vie, e che l’armonica combinazione di questo doppio elemento dipende molto dal carattere delle persone dirette. Tutti ammettono che bisogna sempre praticare lo spirito di penitenza, benchè prenda forme diverse, secondo i diversi gradi di perfezione; che bisogna praticare le virtù morali e teologali in modo sempre più perfetto per giungere alla via unitiva; e che i doni dello Spirito Santo, coltivati con cura, danno all’anima nostra una pieghevolezza che la rende più docile alle ispirazioni della grazia e la preparono, se Dio ve la chiama, alla contemplazione. Si è anche d’accordo su questo punto importante che la contemplazione infusa è essenzialmente gratuita e che Dio la dà a chi vuole e quando vuole; e che quindi nessuno può mettersi da sè stesso nello stato passivo e che i segni d’una vocazione prossima a questo stato sono quello così ben descritti da S. Giovanni della Croce. E quando le anime giungono alla contemplazione, devono, per comun consenso, progredire nella perfetta conformità alla volontà di Dio, nel santo abbandono e soprattutto nell’umiltà, virtù costantemente raccomandata da S. Teresa.
Si possono dunque dirigere prudentemente le anima, anche quelle chiamate alla contemplazione, senza aver sciolto tutte le questioni controverse che gli autori contemporanei stanno ancora discutendo.
33.   b) Ci sembra così che, se si affrontano questi problemi con spirito conciliativo, cercando ciò che ci avvicina anzichè ciò che ci divide, si arriverà, se non a sopprimerle, certo ad addolcire queste controversie, ad attenuarle, a vedere l’anima di verità che ogni sistema contiene. Ecco ciò che si può fare quaggiù: bisogna sapere attendere i lumi della visione beatifica per risolvere un certo numero di problemi difficili.
NOTE



16-1 Hebr., c. XI per intiero.
24-1 Matth., XI, 25.
25-1 R. Garrigou-Lagrange, O. P., La vie spirituelle, 10 ott. 1919, p. 11.
27-1 Ben a ragione dunque due Riviste di tendenza diverse, La vie spirituelle e la Revue d’Ascétique et de Mystique, si sono messe sulla via delle prcisioni, distinguendo con cura, in ciò che riguarda la chiamata alla contemplazione, la chiamata generale e la individuale, la chiamata prossima e la remota, la chiamata efficace e la sufficiente. Precisando il senso di queste parole e studiando i fatti, si riuscirà a intendersi meglio e a ravvicinarsi.
28-1 Così T. de Vallgornera fa parte più ampia al metodo deduttivo, mentre il P. Poulain nel “Delle Grazie d’Orazione dà più risalto al metodo descrittivo.
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Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy .
Ultima revisione del testo: 10 aprile 2004.
Ultima revisione dell’HTML: 28 dicembre 2005.