Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1037-1056)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO II. La via illuminativa o lo stato delle anime proficienti. CAPITOLO II. Delle virtù morali. Art. II. Della vitù della giustizia. § I. La giustizia propriamente detta. I. Natura della giustizia. II. Principali regole per praticar la giustizia. § II. La virtù della religione. I. Natura della virtù della religione. III. Pratica della virtù della religione.

ART. II. DELLA VIRTÙ DELLA
GIUSTIZIA 1037-1.

Richiamato brevemente l’insegnamento teologico sulla
giustizia,
tratteremo per ordine delle virtù della religione e
dell’obbedienza che vi si connettono.

 
§ I. La giustizia propriamente detta.

Ne esporremo:


  •  1° la
    natura;

  •  2° le
    regole principali da seguire per praticarla.



I. Natura della giustizia.

1037.
Definizione. La
parola giustizia, nella S. Scrittura, significa spesso tutto il complesso
delle virtù cristiane; in questo senso Nostro Signore proclama beati coloro che
hanno fame e sete di giustizia, cioè di santità: “Beati qui esuriunt et
sitiunt justitiam”
 1037-2. Ma nel significato ristretto in cui
qui l’usiamo, indica quella virtù morale soprannaturale, che inclina la
volontà a rendere costantemente agli altri tutto ciò che è loro strettamente
dovuto.


È virtù che risiede nella
volontà e che regola gli stretti
doveri verso il prossimo;
onde si distingue dalla carità, virtù teologale,
che ci fa considerare gli altri come fratelli in Gesù Cristo, inclinandoci a
rendere loro servigi non richiesti dalla stretta giustizia.

1038.
Eccellenza. La
giustizia fa regnar l’ordine e la pace così nella vita individuale come nella
sociale. Appunto perchè rispetta i diritti di ognuno, fa regnar l’onestà negli
affari, reprime la frode, protegge i diritti dei piccoli e degli umili, raffrena
le rapine e le ingiustizie dei forti e mette quindi l’ordine nella
società 1038-1. Senza di lei vi sarebbe anarchia,
lotta fra i contrari interessi, oppressione dei deboli da parte dei forti,
trionfo del male.

Se così eccellente è la giustizia naturale, quanto più lo sarà la giustizia
cristiana che è partecipazione della stessa giustizia di Dio? Lo Spirito Santo,
comunicandocela, ce la fa penetrare sin nelle profondità dell’anima, la rende
incrollabile, incorruttibile, aggiungendovi tal premura dei diritti altrui, che
si ha orrore non solo dell’ingiustizia propriamente detta ma anche delle minime
indelicatezze.

1039.
Le principali
specie.
Se ne distinguono due specie principali: la giustizia
generale, che ci prescrive di rendere alle società ciò che loro dobbiamo,
e la giustizia particolare, che ci fa rendere agli individui quanto è
loro dovuto.

a) La prima, che si dice pure giustizia
legale perchè è fondata
sull’esatta osservanza delle leggi, ci obbliga a riconoscere i grandi benefici
che riceviamo dalla società col sopportare i pesi legittimi che ella
c’impone e col prestarle i servigi che da noi si aspetta. Essendo il bene comune
superiore al bene particolare, vi sono casi in cui i cittadini devono
sacrificare una parte dei loro beni, della loro libertà, e rischiare anche la
vita per la difesa della città. — Ma anche la società ha doveri
verso i propri sudditi: deve distribuire i beni sociali e le cariche non a
capriccio e per favoritismo, ma secondo le capacità di ciascun cittadino, e
tenendo conto delle regole dell’equità. A tutti ella deve quel tanto di
protezione e di assistenza che è indispensabile perchè siano tutelati gli
essenziali diritti ed interessi di ogni cittadino; il favoritismo verso gli uni
e la persecuzione verso gli altri sono abusi contrari alla giustizia
distributiva
che le società devono ai loro sudditi.

1040. b) La seconda, la
giustizia particolare, regola i diritti e i doveri dei cittadini tra
loro. Deve rispettare tutti i diritti: non solo il diritto di proprietà,
ma anche i diritti che hanno sui beni del corpo e dell’anima, la vita, la
libertà, l’onore, la riputazione.

Non possiamo entrare in tutte quelle particolarità che abbiano esposto nella
nostra Teologia morale, 1040-1 e basterà richiamare le principali
regole che devono guidarci nella pratica di questa virtù.

 
II. Principali regole per praticar la
giustizia.


1041.
Principio. È chiaro
che le persone pie, i religiosi e i sacerdoti sono obbligati a praticar la
giustizia con perfezione e delicatezza maggiore delle persone del mondo, dovendo
dar buon esempio in materia di onestà come in tutte le altre virtù. Chi facesse
altrimenti scandalizzerebbe il prossimo e darebbe pretesto ai nostri
avversari di condannar la religione. Sarebbe pure porre ostacolo al progresso
spirituale,
perchè il Dio di ogni giustizia non può ammettere alla sua
intimità coloro che apertamente ne violano i formali precetti sulla giustizia.

1042.
Applicazioni. A) Si
deve prima di tutto rispettare il diritto di proprietà per quel che
riguarda i beni temporali.

a) Si eviteranno quindi con ogni diligenza i
piccoli furti, che
per sdrucciolevole pendio conducono spesso ad ingiustizie più gravi; e
s’inculcherà questo principio fin dall’infanzia, per ispirare una specie
d’orrore istintivo alle più piccole ingiustizie. A più forte ragione si
eviteranno quei furti commessi dai mercanti o dagli industriali che praticano
abitualmente la frode sulla qualità o sulla quantità delle
merci col pretesto che i concorrenti fanno lo stesso; oppure che vendono a
prezzi esagerati o comprano a prezzi irrisori, abusando della semplicità dei
clienti; si starà alla larga dalle speculazioni temerarie e da quei
loschi affari in cui si rischia la fortuna propria e l’altrui sotto pretesto di
lauti guadagni.

b) Si avrà orrore dei
debiti quando non si è sicuri di poterli
pagare; e chi ne avesse contratto qualcuno, si farà un punto d’onore di
rimborsarlo al più presto.

c) Quando si prende ad imprestito un oggetto, bisogna trattarlo con
riguardo anche maggiore che se fosse nostro, e badare a restituirlo il più
presto possibile. Quanti furti incoscienti si commettono quando si trascurano
queste precauzioni!

d) Chi ha volontariamente causato qualche danno è tenuto per
giustizia a ripararlo; se involontariamente, non è strettamente
obbligato, ma chi mira alla perfezione lo farà per quanto gli averi glie lo
permettono.

e) Quando si riceve in
deposito danaro o valori per opere
buone, bisogna prendere tutte le precauzioni legali perchè, in caso di morte
improvvisa, coteste somme siano bene impiegate secondo le intenzioni dei
donatori. Sia detto specialmente per i sacerdoti che ricevono onorari di
messe od elemosine; essi devono non solo tenere i conti in ordine, ma avere per
legatario o per esecutore testamentario un sacerdote che possa assicurare
l’adempimento delle messe o il buon uso delle elemosine.

1043. B) Non è meno
necessario rispettare la riputazione e l’onore del prossimo.

a) Si schiveranno quindi i
giudizi temerari sul prossimo.
Condannare i nostri fratelli per semplici apparenze o per ragioni più o meno
futili, senza conoscerne a fondo le intenzioni, è un usurpare i diritti di Dio,
che solo è giudice supremo dei vivi e dei morti; è commettere un’ingiustizia
rispetto al prossimo, perchè si condanna senza ascoltarlo, senza conoscere i
motivi segreti delle sua azioni, e per lo più sotto l’impero di pregiudizi o di
qualche passione. La giustizia e la carità vogliono invece o che ci asteniamo
dal giudicare, o che interpretiamo più favorevolmente possibile le azioni del
prossimo.

b) A più forte ragione bisogna astenersi dalla
maldicenza, che
palesa ad altri le colpe o i difetti segreti del prossimo. Anche che
questi difetti, come noi supponiamo, siano veri, fin che non sono di dominio
pubblico, non abbiamo il diritto di propalarli. Facendolo: 1) contristiamo
il prossimo che, vedendosi colpito nella riputazione, ne soffre tanto più quanto
più caro gli è l’onore; 2) l’abbassiamo nella stima dei suoi pari;
3) diminuiamo l’autorità e il credito di cui ha bisogno per fare i suoi
affari od esercitare una legittima influenza, onde gli possiamo cagionar talora
danni quasi irreparabili.

Nè si dica che colui del quale si raccontano le colpe non ha più diritto alla
riputazione: la conserva fino a tanto che le sue colpe non sono pubbliche; ma
poi non bisogna perdere di vista la parola del Salvatore: “Chi di voi è senza
peccato lanci la prima pietra” 1043-1. Si noti che i Santi sono tutti
sommamente misericordiosi e cercano in tutti i modi di difendere la riputazione
dei fratelli. È meglio che anche noi li imitiamo.

c) Con ciò saremo più sicuri di schivar la
calunnia, che,
confalse imputazioni, accusa il prossimo di colpe non commesse.
Ingiustizia tanto più grave in quanto che è spesso ispirata dalla malignità o
dalla gelosia. Quanti mali cagiona! Troppo bene accolta, ahimè! dall’umana
malizia, corre rapidamente di bocca in bocca, distrugge la riputazione e
l’autorità di coloro che ne sono vittime e ne pregiudica talora gravemente anche
gli affari temporali.

1044. Vi è quindi stretto dovere di
riparare le maldicenze e le calunnie. È cosa certamente difficile;
perchè il ritrattarsi costa, e poi la ritrattazione, per quanto sincera sia, non
fa che palliare l’ingiustizia commessa; la menzogna, anche quando è ritrattata,
lascia spesso tracce indelebili. Non è però questa una buona ragione per non
riparare la commessa ingiustizia; bisogna anzi applicarcisi con tanto maggiore
energia e costanza quanto più grande è il male. La difficoltà della riparazione
deve indurci ad astenerci da tutto ciò che potrebbe da vicino o da lontano farci
cadere in questo grave difetto.

Ecco perchè tutti coloro che tendono alla perfezione coltivano non solo la
giustizia ma anche la carità, la quale, facendoci veder Dio nel prossimo, ci fa
diligentemente schivare tutto ciò che potrebbe contristarlo. Ci ritorneremo più
avanti.

 
§ II. La virtù della
religione
 1045-1.

1045. Questa virtù si connette con
la giustizia, perchè ci fa rendere a Dio il culto che gli è
dovuto; ma che non potendo noi offrirgli l’ossequio infinito a cui
ha diritto, la nostra religione non avvera tutte le condizioni della giustizia;
onde non è in senso proprio un atto di giustizia, ma vi si avvicina quanto più è
possibile. – Ne esporremo:


  • 1° la
    natura;

  • 2° la
    necessità;

  • 3° la
    pratica.



I. Natura della virtù della religione.

1046. La religione è una
virtù
morale soprannaturale che inclina la volontà a rendere a Dio il culto che gli è
dovuto per la infinita sua eccellenza e pel supremo suo dominio sopra di
noi.


a) È una virtù speciale, distinta dalle tre virtù teologali che hanno
Dio per oggetto diretto; mentre l’oggetto proprio della religione è il
culto di Dio, sia interno che esterno. Ma presuppone la virtù della
fede, che ci illumina sui diritti di Dio; e quando sia perfetta, è
informata dalla carità e finisce col non essere più che
l’espressione e la manifestazione delle tre virtù teologali.

b) Il suo oggetto
formale o motivo è di riconoscere
l’infinita eccellenza di Dio, primo principio ed ultimo fine, Essere perfetto,
Creatore da cui tutto dipende e a cui tutto deve tendere.

c) Gli atti a cui la religione ci induce sono interni ed esterni.

1047. Con gli atti
interni
assoggettiamo a Dio l’anima con le sue facoltà, e specialmente l’intelletto e la
volontà. 1) Il primo e più importante di questi atti è l’adorazione
per cui tutto il nostro essere si prostra davanti a Colui che è la
pienezza dell’essere e la fonte di tutto ciò che vi è di bene nella creatura. È
accompagnata o seguita dalla ammirazione riverente che proviamo alla
vista delle infinite sue perfezioni. 2) Ed essendo egli l’autore di tutti i
beni che possediamo, gliene professiamo la debita riconoscenza.
3) Ma ricordandoci di essere peccatori, concepiamo sentimenti di
penitenza per riparar l’offesa commessa contro l’infinita sua maestà.
4) E perchè abbiamo continuamente bisogno del suo aiuto per fare il bene e
conseguire il nostro fine, gli rivolgiamo le nostre preghiere o domande,
riconoscendo così che è fonte d’ogni bene.

1048. Questi sentimenti interni si
manifestano con atti esterni, che hanno tanto maggior valore quanto più
perfetti sono gli atti interni di cui sono espressione. 1) Il
principale di questi atti è certamente il sacrifizio, atto
esterno e sociale, con cui il sacerdote offre a Dio, in nome della Chiesa, una
vittima immolata, per riconoscere il supremo dominio, riparare l’offesa fatta
alla sua Maestà ed entrare in comunione con lui.
Nella nuova Legge non c’è
che un solo sacrificio, quello della messa, che, rinnovando il sacrificio
del Calvario, porge a Dio ossequi infiniti e ottiene agli uomini tutte le grazie
di cui hanno bisogno. Ne abbiamo indicato più sopra gli effetti e le
disposizioni necessarie per trarne profitto, n. 271-276.
2) A quest’atto principale s’aggiungono: le preghiere pubbliche
offerte, in nome della Chiesa, dai suoi rappresentanti, in particolare l’ufficio
divino; le benedizioni del SS. Sacramento; le preghiere vocali
private; i giuramenti e i voti fatti con prudenza, in onore
di Dio, dotati di tutte le condizioni descritte nei trattati di Teologia
morale;
gli atti soprannaturali esterni fatti per la gloria di Dio e che,
secondo l’espressione di san Pietro, sono sacrifizi spirituali graditi a Dio,
“offerre spirituales hostias, acceptabiles Deo” 1048-1.

Da ciò si può conchiudere che la virtù della religione è la più eccellente
delle virtù morali, perchè, facendoci praticare il culto divino, ci avvicina a
Dio più che le altre virtù.

 
II. Necessità della virtù della
religione.


Per procedere con ordine, dimostreremo:


  • 1° che
    tutte le creature devono rendere gloria a Dio;

  • 2° che
    è dovere speciale per l’uomo;

  • 3° soprattutto
    poi pel sacerdote.



1049.
Tutte le creature devono rendere gloria a Dio. Se ogni opera deve
proclamar la gloria dell’artista che l’ha fatta, quanto più deve la creatura
proclamar la gloria del suo Creatore? L’artista non fa poi altro che modellar
l’opera sua e, terminata che l’abbia, non ci ha più da far nulla. L’artista
divino invece non solo modellò le sue creature ma le trasse intieramente dal
nulla,
imprimendovi non solo l’orma del suo genio ma anche un raggio delle
sue perfezioni; e continua ad occuparsene conservandole, aiutandole col
suo concorso e con la sua grazia, cosicchè sono in una intiera
dipendenza da lui. Devono quindi assai più dell’opere d’un artista proclamar la
gloria del loro autore. È quello che fanno, a modo loro, gli esseri
inanimati, i quali, svelandoci la loro bellezza e la loro armonia,
c’invitano a glorificar Dio: “Cæli enarrant gloriam
Dei
 1049-1ipse fecit nos et non ipsi
nos”
 1049-2; ma è ossequio che non onora Dio se non
molto imperfettamente perchè non è libero.

1050.
Spetta dunque all’uomo il glorificar Dio in modo cosciente,
prestare il cuore e la voce a queste creature inanimate onde rendergli ossequio
intelligente e libero. Spetta a lui, che è il re della creazione, contemplar
tutte queste maraviglie per riferirle a Dio ed essere quindi il pontefice
della creazione. Deve specialmente lodarlo in nome proprio: più perfetto degli
esseri irragionevoli, creato ad immagine e somiglianza di Dio, partecipe della
sua vita, deve vivere in assidua ammirazione, lode, adorazione, riconoscenza ed
amore al suo Creatore e Santificatore. È quello che dichiara S. Paolo 1050-1: “Da lui, per lui, e a lui sono tutte
le cose: a lui la gloria per tutti i secoli!… Sia che viviamo, viviamo per il
Signore; sia che moriamo, moriamo pel Signore…”. E, ricordando ai discepoli
che il nostro corpo come l’anima nostra è tempio dello Spirito Santo, aggiunge:
“glorificate Dio nel vostro corpo: “glorificate et portate Deum in corpore
vestro”
 1050-2.

1051.
Questo dovere spetta soprattutto ai sacerdoti. Infatti la maggior parte
degli uomini, ingolfati negli affari e nei piaceri, sventuratamente non
consacrano che pochissimo tempo all’adorazione. Si dovevano quindi scegliere tra
loro delegati speciali, accetti a Dio, che potessero, non solo in nome proprio
ma in nome pure di tutta la società, rendere a Dio i doveri di religione a cui
ha diritto. È appunto questo l’ufficio del sacerdote cattolico: eletto da
Dio stesso, tra gli uomini, è come il mediatore di religione tra il cielo e la
terra, incaricato di glorificar Dio e porgergli l’ossequio di tutte le creature,
facendone poi scendere sulla terra una pioggia di grazie e di benedizioni. Tal è
quindi il dovere del suo stato, la sua professione, vero dovere di
giustizia, come spiega S. Paolo: 1051-1 “Omnis namque Pontifex ex hominibus
assumptus pro hominibus constituitur in his quæ sunt ad Deum, ut offerat dona et
sacrificia pro peccatis”
. Ecco perchè la Chiesa gli affida due grandi mezzi
per praticar la virtù della religione: l’ufficio divino e la santa
messa.
Doppio dovere che deve compiere con tanto maggior fervore in quanto
che, glorificando Dio, lo dispone nello stesso tempo favorevolmente ad esaudire
le nostre richieste; lavora così e alla santificazione propria e a quella delle
anime che gli sono affidate, n. 393-401.
Le sue preghiere hanno tanto maggiore efficacia, in quanto che è la Chiesa, è
Gesù che prega con lui e in lui; ora le preghiere di Cristo sono sempre
esaudite: exauditus est pro sua reverentiâ” 1051-2.

 
III. Pratica della virtù della
religione.


1052. Per ben praticar questa
virtù, bisogna coltivare la vera devozione, cioè quella disposizione
abituale della volontà che ci fa prontamente e generosamente abbracciare tutto
ciò che è di servizio di Dio.
È dunque in sostanza una manifestazione
dell’amor di Dio; onde la religione si connette con la carità.

1053. 1° Gl’incipienti
praticano questa virtù: a) osservando bene le leggi di Dio e della
Chiesa sulla preghiera, sulla santificazione delle domeniche e delle feste;
b) schivando la abituale dissipazione esterna ed interna, che è
fonte di numerose distrazioni nella preghiera, con una certa vigilanza a lottare
contro l’onda invadente dei divertimenti mondani e delle inutili fantasticherie;
c) raccogliendosi interiormente prima di pregare, per farlo con
maggior attenzione, e praticando il santo esercizio della presenza di Dio, n. 446.

1054. 2° I
proficienti si
sforzano di entrare nello spirito di religione, in unione con Gesù, il
grande Religioso del Padre, che nella vita come nella morte glorificò Dio in
modo infinito, n. 151.

a) Questo spirito di religione comprende due principali disposizioni,
riverenza e amore. La riverenza è un profondo sentimento di
rispetto misto a timore, con cui riconosciamo Dio come nostro Creatore e Sovrano
Padrone, e siamo lieti di proclamare la assoluta nostra dipendenza da lui.
L’amore si volge al Padre amabilissimo e amantissimo che si degnò di
adottarci per figli e che continuamente ci è largo della paterna sua tenerezza.
Doppio sentimento, onde scaturiscono tutti gli altri: ammirazione, riconoscenza,
lode.

1055. b) Nel
Cuore
sacratissimo di Gesù
andiamo ad attingere questi sentimenti di religione. Il
divino Mediatore non visse che per glorificare il Padre: “Ego te clarificavi
super terram”
; morì per farne la volontà, per intieramente appagarlo,
protestando così di non veder nulla che meriti di vivere e di sussistere al
cospetto di Dio. Dopo la morte egli continua l’opera sua non solo
nell’Eucaristia, ove continuamente adora la SS. Trinità, ma anche nei
nostri cuori, ove, per mezzo del divino suo Spirito, produce religiose
disposizioni simili alle sue. Vive in tutti i cristiani, ma soprattutto nei
sacerdoti, procurando per loro mezzo la gloria di Colui che solo merita di
essere adorato e rispettato. Dobbiamo quindi con ardenti desideri attirarlo in
noi e darci a lui perchè in noi, con noi e per noi pratichi la virtù della
religione.

“Allora, scrive l’Olier 1055-1, Gesù viene in noi e si lascia sulla
terra tra le mani dei sacerdoti come ostia di lode, per farci partecipare al suo
spirito di vittima, applicarci alle sue lode e comunicarci interiormente i
sentimenti della sua religione. Si diffonde in noi, s’insinua in noi, ci profuma
l’anima e la riempie delle disposizioni interiori del suo spirito religioso; di
guisa che dell’anima nostra e della sua non ne fa che una sola, animandola dello
stesso spirito di rispetto, di amore e di lode, di interno ed esterno sacrificio
di ogni cosa a gloria di Dio suo Padre”.

1056. c) Ma non bisogna
dimenticare che Gesù chiede la nostra collaborazione. Venendo a farci
partecipare al suo stato e al suo spirito di vittima, è necessario che viviamo
con lui ed in lui in ispirito di sacrificio, crocifiggendo le tendenze
della guasta natura e prontamente obbedendo alle ispirazioni della grazia;
allora tutte le nostre azioni piaceranno a Dio e saranno tante ostie, tanti atti
di religione, a lode e gloria di Dio, nostro Creatore e nostro Padre.
Proclamiamo così in modo pratico che Dio è tutto e nulla la creatura immolando
partitamente tutto il nostro essere e tutte le nostre azioni a gloria del
Sovrano nostro Padrone.

d) Il che specialmente facciamo in quegli atti che sono propriamente
atti di religione, nell’assistenza alla santa messa, nella recita delle
preghiere liturgiche e in altri, come abbiamo spiegato nei n. 274, 284, 523.

I perfetti praticano questa virtù sotto l’efficacia del
dono della
pietà,
di cui tratteremo più avanti.

 

NOTE

1037-1 S. Tommaso, IIª
IIæ, q. 56-122: Dom. Soto, De justitia et jure; Lessius, De justitia;
Ad. Tanquerey, Synopsis
theol. moralis,
t. III, De virtute justitiæ, con i numerosi autori citati;
P. Janvier, Quaresimale, 1918 (Marietti, Torino).

1037-2 Matth., V. 6.

1038-1 È ciò che osserva
Bossuet nel Sermone sulla giustizia: “Quando nomino la giustizia,
nomino nello stesso tempo il vincolo sacro dell’umana società, il freno
necessario della licenza… Quando regna la giustizia, nei trattati si trova la
fede, l’onestà negli affari, l’ordine nella politica, la terra è in pace, e
anche il cielo, per così dire, c’illumina lietamente e ci manda più dolci
influssi”.

1040-1 Synopsis theol.
moralis,
t. III, De virtute justitiæ.

1043-1 Joan., VIII, 7.

1045-1 S. Tommaso, IIª
IIæ, q. 84; Suarez, De virtute et statu
religionis,
t. I, l. II; Bouquillon, De virtute
religionis;
J. J. Olier, Introd. à la vie et aux vertus
chrét.;
Mgr. d’Hulst, Quaresimale 1893, Conf. I
(Marietti, Torino); C. De Smedt, op.
cit.
, pag. 35-104; Ribet, Les vertus, c. XXI.

1048-1 I Petr., II, 5.

1049-1 Ps. XVIII, 2.

1049-2 Ps. XCIX, 3.

1050-1 Rom., XI, 36; XIV,
7-8.

1050-2 I Cor., VI, 20.

1051-1 Hebr., V, 1.

1051-2 Hebr., V, 7.

1055-1 Introd. à la vie et aux
vertus chrét.,
c. I.

 
 
Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy
(martinwguy@yahoo.it).

Ultima revisione: 1 febbraio 2006.