Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1016-1036)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO II. La via illuminativa o lo stato delle anime proficienti. CAPITOLO II. Delle virtù morali. Nozioni preliminari sulle virtù infuse. Art. I. Della virtù della prudenza. I. La natura. II. Necessità della prudenza. III. I mezzi di perfezionarsi in questa virtù.

ART. I. DELLA VIRTÙ DELLA
PRUDENZA 1016-1.

Ne esporremo:


  • 1° la
    natura;

  • 2° la
    necessità;

  • 3° i
    mezzi di perfezionarvisi.



I. La natura.

Per meglio intenderla diamone la
definizione, gli elementi
costitutivi,
le specie.

1016.   1°
Definizione: è una
virtù morale e soprannaturale, che inclina l’intelletto a scegliere, in ogni
circostanza, i mezzi migliori a ottenere i varii fini subordinandoli al fine
ultimo.


Non è quindi nè la
prudenza della carne, nè la prudenza puremente
umana:
è la prudenza cristiana.

A) Non è la
prudenza della carne,
che ci rende ingegnosi nel trovare i mezzi a ottenere un fine cattivo, a
soddisfar le passioni, ad arricchire, a conseguire onori; e che è condannata da
S. Paolo, perchè nemica di Dio e ribelle alla sua legge e nemica dell’uomo
che conduce alla morte eterna 1016-2.

Non è neppure la prudenza
puramente umana, che studia i mezzi migliori
per ottenere un fine naturale senza subordinarlo al fine ultimo; come la
prudenza dell’industriale, del commerciante, dell’artista, dell’operaio, che
cercano di guadagnar denaro e gloria senza darsi pensiero di Dio e della
felicità eterna. A costoro bisogna ricordare che a nulla serve il conquistare
anche il mondo intiero se poi se perde l’anima 1016-3.

1017.   B) È la prudenza
cristiana, che, appoggiandosi sui principii della fede, tutto riferisce
al fine soprannaturale, vale a dire a Dio conosciuto e amato sulla terra e
posseduto nel cielo. È vero che la prudenza non si occupa direttamente di questo
fine, che le è proposto dalla fede; ma l’ha continuamente dinanzi, per studiare,
alla sua luce, i mezzi migliori a dirigere tutte le azioni verso cotesto fine.
Si occupa quindi della vita in tutti i suoi particolari: regola i pensieri per impedirli di andar lontani da Dio; regola le
intenzioni per rimuoverne ciò che potrebbe corrompere la purezza; regola
gli affetti, i sentimenti, i voleri, per riferirli a Dio;
regola perfino gli atti esteriori e l’esecuzione delle nostre risoluzioni per
ordinarli all’ultimo fine 1017-1.

1018.   C) Questa virtù
risiede propriamente parlando nell’intelletto, perchè giudica e
discerne ciò che, in ogni particolare circostanza, è più atto a conseguire il
nostro fine; è una scienza di applicazione che alla conoscenza dei
principii aggiunge quella delle cose e persone fra cui dobbiamo condurre la
vita 1018-1. Tuttavia la volontà interviene
per muovere l’intelletto ad applicarsi alla considerazione dei motivi e delle
ragioni onde fare una savia scelta, e poi più tardi per ordinare l’esecuzione
dei mezzi scelti.

1019.   D) La
regola
della prudenza cristiana non è la sola ragione, ma la ragione illuminata dalla
fede. Se ne trova la più nobile espressione nel Sermone del monte, in cui
Nostro Signore compie e perfeziona la legge antica, sgombrandola dalle false
interpretazioni dei dottori giudei. La prudenza soprannaturale attinge dunque
luce e ispirazioni nelle massime evangeliche che sono diametralmente opposte a
quelle del mondo. Per farne l’applicazione alle azioni quotidiane ricorre agli
esempi dei Santi, che vissero secondo il Vangelo, e agli insegnamenti della
Chiesa infallibile che viene a guidarci nei casi dubbi. Così siamo moralmente
certi di non traviare.

D’altra parte i mezzi da lei adoperati sono non solo mezzi
onesti ma mezzi soprannaturali, la preghiera e i sacramenti, che,
moltiplicandoci le forze per il bene, ci fanno giungere a risultati assai
migliori.

Il che si vedrà anche meglio studiando gli
elementi costitutivi di
questa virtù.

1020.   2°
Elementi
costitutivi.
Per operare prudentemente sono specialmente necessarie tre
condizioni: esaminare con maturità, risolvere con senno,
eseguir bene.

A) Ci vuole prima di tutto
maturo esame per studiare i mezzi
più atti al conseguimento del fine che uno si propone, esame che dev’essere
proporzionato all’importanza della risoluzione da prendere. A farlo con più
maturità, uno rifletterà da sè e consulterà i savi.

1021.   a) Rifletterà da sè
sul passato, sul presente e sull’avvenire.

1) La memoria del passato gli sarà di grandissima utilità: poichè il
fondo della natura umana rimane sempre lo stesso nel corso dei secoli, conviene
consultare la storia per vedere come i nostri padri risolvettero i
problemi che ci stanno dinanzi: le esperienze che essi tentarono per risolverli
illumineranno la esperienza nostra e ci risparmieranno molti errori; vedendo ciò
che riuscì bene e ciò che andò a vuoto, capiremo meglio quali siano gli scogli
da schivare e i mezzi da prendere. Ma bisogna consultar pure la propria
esperienza:
a cominciar dall’infanzia ci siamo trovati o in un modo o in un
altro alle prese con simili difficoltà; dobbiamo pensare a ciò che ci è riuscito
e a ciò che ci fu causa di cattivo esito, e dire risolutamente a noi stessi: non
voglio più espormi agli stessi pericoli nè soccombere alle stesse tentazioni.

2) Ma si deve pure tener conto del
presente, delle condizioni diverse
in cui viviamo; ogni secolo, ogni uomo ha la particolare sua indole, e noi
stessi non abbiamo più nell’età matura gli stessi gusti che avevamo in gioventù.
Onde qui interverrà l’intelletto per aiutarci a interpretar bene le esperienze
passate adattandole alle circostanze presenti.

3) Da ultimo anche l’avvenire può bene essere interrogato: prima di
risolvere, è utile prevedere, per quanto è possibile, le conseguenze dei nostri
atti su noi e sugli altri. Con la memoria del passato e con la previsione
dell’avvenire si riesce a ben ordinare il presente.

Applichiamo tutto questo a una determinata virtù, alla castità: la storia mi
ricorderà quanto fecero i Santi per restar puri in mezzo ai pericoli del mondo;
la mia esperienza mi dirà quali furono le mie tentazioni, i mezzi usati per
resistervi, le vittorie e le sconfitte; e da ciò io potrò conchiudere con grande
probabilità quale risultato avrà nell’avvenire questo o quel passo, questa o
quella lettura, questa o quella conversazione.

1022.   b) Ma non basta
riflettere, bisogna pure saper consultare gli uomini savi ed
esperimentati: una parola, un’osservazione di un amico, di un parente, talora
perfino di un servo, ci apre gli occhi e ci mostra un lato delle cose da noi
dimenticato o negletto: quattro occhi vedono meglio di due, e dalla discussione
scaturisce la luce. Quanto più non deve ciò dirsi della parola di un direttore
che ci conosce, e che, essendo disinteressato nell’affare, vede meglio di noi
ciò che ci è utile al bene dell’anima? Si consulterà dunque con diligenza e
docilità un uomo savio ed esperimentato; il che del resto non toglie che
esercitiamo la nostra sagacia, onde vedere con rapidità ed esattezza
quanto vi è di fondato nei consigli altrui e nelle osservazioni nostre.

Ma non si deve dimenticare di ricorrere al migliore dei consiglieri, al Padre
dei lumi, e un Veni Sancte Spiritus divotamente recitato ci tornerà
spesso più utile di molti esami.

1023.   B) Dopo aver bene
esaminato, bisogna giudicar bene, vale a dire risolvere quali, tra
i mezzi suggeriti, sono veramente i più efficaci. Per riuscirvi:
a) si rimoveranno accuratamente i pregiudizi, le passioni e le
impressioni, che sono elementi perturbatori del giudizio, e uno si metterà
risolutamente di fronte all’eternità per valutar tutto al lume della fede;
b) non si dovrà fermarsi alla superficie delle ragioni che fanno
inclinare a questa o quella parte, ma esaminarle a fondo, con
perspicacia, pesandone bene il pro ed il contro; c) infine si
giudicherà con risolutezza, senza abbandonarsi a soverchie esitazioni;
quando si è riflettuto proporzionatamente all’importanza dell’affare e preso il
partito che sembra migliore, Dio non ci rimprovererà la nostra condotta, avendo
noi fatto quanto dovevamo per conoscerne la volontà; onde possiamo far
assegnamento sulla sua grazia per l’esecuzione delle nostre risoluzioni.

1024.   Non bisogna infatti tardare
ad eseguire il fissato disegno: al che tre cose si richiedono:
previdenza, circospezione, e precauzioni.

a) Previdenza: il prevedere importa calcolar prima gli sforzi
necessarii ad eseguire i nostri disegni, gli ostacoli che incontreremo e i mezzi
di vincerli, onde poi proporzionare lo sforzo al risultato che si vuol ottenere.

b) Circospezione: bisogna aprire gli occhi, considerar bene
cose e persone che ci stanno attorno per trarne il miglior partito possibile;
osservare tutte le circostanze per adattarvisi; tener d’occhio gli eventi per
approfittarne se favorevoli, per prevenire le cattive conseguenze se contrarii.

c) Precauzioni:
videte quomodo caute
ambuletis”
 1024-1 Anche quando si è cercato di preveder
tutto, le cose non succedono poi sempre come le avevamo previste, perchè
limitata e fallibile è la nostra saggezza. Conviene quindi, nella vita morale
come negli affari, aver delle riserve, circondarsi di precauzioni: il nemico
spirituale ha spesso dei contrattacchi, come abbiamo spiegato più sopra, n. 900;
è quello il momento di ricorrere alle proprie riserve d’energia, alla preghiera,
ai sacramenti, ai consigli d’un direttore. Così non si cade vittime di
circostanze impreviste; non si rimane sconcertati; e con la grazia di Dio si
riesce a condurre a buon fine i disegni prudentemente fissati.

1025.   3° Le
diverse specie
di prudenza. La prudenza si distingue secondo le cose su cui si esercita: è
individuale quando regola la condotta personale ed è quella di cui
abbiamo parlato: è sociale quando riguarda il bene della società; ed
essendovi tre specie di comunità, la famiglia, lo Stato e l’esercito, si
distinguono pure tre specie di prudenza: la prudenza domestica, che
regola le relazioni degli sposi tra loro, dei genitori verso i figli e
viceversa; la prudenza civile, che mira al bene pubblico e al buon
governo dello Stato; la prudenza militare, che si occupa della condotta
degli eserciti.

Non entreremo qui nei particolari; i principii generali che abbiamo esposti
bastano al fine propostoci. Spetta agli sposi cristiani, ai governanti e ai capi
militari studiare a fondo l’applicazione di questi principi alla loro
particolare condizione.

 
II. Necessità della prudenza.

La prudenza è necessaria tanto per dirigere
noi stessi quanto per
dirigere gli altri.

1026.   1° Per
dirigere noi
stessi,
ossia per santificarci. È lei infatti che ci fa schivare il
peccato,
e praticare le virtù. A) Per schivare il
peccato,
bisogna, come abbiamo già detto, conoscerne le cause e le
occasioni, studiare e preparare i rimedi. Ed è quello che fa la
prudenza, come possiamo conchiudere dallo studio dei suoi elementi costitutivi:
consultando l’esperienza del passato e lo stato attuale dell’anima, vede ciò che
per noi è o nell’avvenire potrebbe essere causa od occasione di peccato; quindi
suggerisce i mezzi migliori onde sopprimere o attenuare queste cause e la
strategia più atta a vincere le tentazioni e trarne anzi profitto. Senza questa
prudenza, quanti peccati si commetterebbero! quanti se ne commettono per difetto
di prudenza!

1027.   B) La prudenza è pure
necessaria per praticare le virtù e agevolare così l’unione con Dio. A
ragione si paragonano le virtù a un cocchio che ci conduce a Dio e la prudenza
al cocchiere che lo guida, auriga virtutum; è come l’occhio
dell’anima che vede la via da seguire e gli ostacoli da evitare.

1) È necessaria alla pratica di
tutte le virtù: delle virtù
morali, che devono tenersi nel giusto mezzo e schivare gli opposti
eccessi; e anche delle virtù teologali, che devono praticarsi a tempo
opportuno e con mezzi appropriati alle varie circostanze della vita: così spetta
alla prudenza esaminare quali sono i pericoli che minacciano la fede e i
mezzi per allontanarli; in che modo può essere coltivata la fede e
diventar più pratica; in che modo s’ha da conciliare la confidenza in Dio
e il timore dei divini giudizi, schivando nello stesso tempo la
presunzione e la disperazione; in che modo la carità può informare tutte le
nostra azioni senza turbar l’esercizio dei doveri del nostro stato. E quanta
prudenza non occorre nella pratica della carità fraterna!

2) Anche più necessaria è per la pratica d’un certo numero di virtù che
paiono contradittorie: la giustizia e la bontà, la dolcezza e la
fortezza, le sante austerità e la cura della salute, la sollecitudine per il
prossimo e la castità, la vita interiore e gli affari.

1028.   2° Non meno necessaria è la
prudenza nella pratica dell’apostolato.

a) Sul pulpito, la prudenza suggerisce al sacerdote ciò che si
deve dire e ciò che si deve tacere, come si deve parlare per non offendere gli
uditori, per adattare la divina parola al loro grado d’intelligenza, per
persuadere, commuovere e convertire. Forse anche più necessaria è nel fare il
catechismo, dove si tratta di formare i giovanetti e stampar nella loro
anima un’impronta che durerà poi tutta la vita.

b) Al confessionale, la prudenza è quella che fa del confessore
un giudice perspicace ed integro, capace di discernere la varia
colpevolezza, interrogare i penitenti con precisione e chiarezza, secondo l’età
e la condizione di ciascuno, tenendo conto di tutte le circostanze; un
dottore capace di istruire senza scandalizzare, di lasciar certe anime
nella buona fede o avvertirle secondo i vari risultati che si possono prevedere;
un medico capace di esplorar con delicatezza le cause della malattia,
scoprirne e savviamente [sic] prescriverne i rimedi; un padre così
affettuoso da ispirare confidenza e così riserbato da non ispirare troppo umana
simpatia.

c) In tutto ciò che riguarda battesimi, prime comunioni, matrimonii,
Estrama Unzione, funerali, quanta finezza è necessaria per conciliare i
desiderii delle famiglie e le leggi divine e liturgiche! Nelle visite agli
infermi o nelle visite di apostolato quanta avvedutezza ci vuole!

d) Lo stesso si dica nell’amministrazione temporale delle
parrocchie, in fatto di tariffe per le diverse ceremonie, nell’obolo per il
culto; per sapere ottener tutti i mezzi necessari alla Chiesa senza urtare i
parrocchiani, senza scandalizzarli, senza compromettere la riputazione di
perfetto disinteresse di cui ogni sacerdote deve godere.

 
III. I mezzi di perfezionarsi in questa
virtù.


1029.   C’è un
mezzo generale
che s’applica a tutte le virtù, morali e teologali, è la preghiera, con
cui attiriamo in noi Gesù e le sue virtù. Lo accenniamo qui una volta per sempre
per non doverci poi tornar sopra; e non parleremo più che dei mezzi proprii a
ciascuna virtù.

1030.   1° Il
principio
generale
che presiede a tutti gli altri e si applica a tutte le anime è di
riferire tutti i giudizi e tutte le risoluzioni al fine ultimo
soprannaturale.
È ciò che S. Ignazio consiglia a principio degli
Esercizi Spirituali, nella meditazione fondamentale.

a) Osserviamo per altro che questo principio non sarà inteso da tutte
le anime allo stesso modo: gl’incipienti, considerando il fine dell’uomo, si
fisseranno piuttosto sulla salvezza dell’anima, i perfetti sulla
gloria di Dio; questo secondo modo è in sè migliore, ma non tutte le
anime potrebbero intenderlo e gustarlo.

b) A concretar meglio questo principio, si può affiggerlo a qualche
massima che ce lo porrà vivamente sotto gli occhi, per esempio: Quid hoc ad
æternitatem! — Quod æternum non est, nihil est. — Quid prodest homini?…


In pratica poi il convincersi bene di alcuna di queste massime, il
ritornarci sopra fin che ci sia divenuta familiare, l’abituarsi a viverne, è il
mezzo efficace per fissarci nell’anima i fondamenti della cristiana prudenza.

1031.   2° Armati di questo
principio, gl’incipienti si applicano a liberarsi dai difetti
contrari alla prudenza cristiana 1031-1.

a) Combattono quindi vigorosamente la
prudenza della carne, che
cerca avidamente i mezzi di soddisfare la triplice concupiscenza, mortificando
l’amore del piacere e ripensando che le false gioie di questo mondo, molto
spesso seguite da amari dispiaceri, sono un nulla in paragone delle gioie
eterne.

b) Rigettano premurosamente l’astuzia, l’inganno, la
frode anche nel perseguimento di un fine onesto, persuasi che la miglior
politica è ancora l’onestà, — che il fine non giustifica i mezzi — e che,
secondo il Vangelo, si deve associar la semplicità della colomba alla prudenza
del serpente. Cosa tanto più necessaria perchè talora si rimproverano questi
difetti, per lo più ingiustamente, ai devoti, ai sacerdoti, ai religiosi. Si
coltiverà dunque con ogni premura la lealtà perfetta e la evangelica semplicità.

1032.   c) Lavorano a
mortificare i pregiudizi e le passioni che sono elementi
perturbatori del giudizio: i pregiudizi, che inducono a prendere una
risoluzione per motivi preconcetti che possono essere falsi o irragionevoli; le
passioni, superbia, sensualità, voluttà, eccessiva sollecitudine dei beni
del mondo, che agitano l’anima e le fanno scegliere non ciò che è meglio, ma ciò
che è più dilettevole e più utile rispetto ai temporali interessi. Ad
affrancarsi da queste perturbatrici influenze, richiamano le massime
evangeliche: “Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus”. Evitano
quindi di prendere risoluzioni sotto l’impulso di una viva passione e aspettano
che sia tornata la calma nell’anima. Se poi occorresse risolversi presto, si
raccolgono almeno un momento per mettersi alla presenza di Dio, implorarne i
lumi e fedelmente seguirli.

d) A combattere
la leggerezza dell’animo, la corrività [sic]
nei giudizi o la sconsideratezza, badano a non operar mai senza
riflettere,
senza chiedersi per quali motivi operano, quali saranno
le conseguenze buone o cattive dei loro atti, il tutto in relazione con
l’eternità. Questa riflessione sarà proporzionata all’importanza della
risoluzione da prendere, e in cose gravi consulteranno persona savia e
sperimentata. Così a poco prenderanno l’abitudine di non risolvere nulla e di
nulla fare senza riferirlo a Dio e all’ultimo fine.

e) Infine, ad evitare l’irrisolutezza e l’eccessiva esitazione
a risolversi, si baderà a rinuovere la cause di questa malattia spirituale,
(animo troppo complesso o troppo perplesso, timidezza nell’intraprendere, ecc.)
facendosi fissare regole sicure da un savio direttore, onde si risolverà con
franchezza nei casi ordinari e si chiederà consiglio nei casi più difficili.

1033.   3° Le
anime
proficienti
si perfezionano nella prudenza in tre modi:

a) Studiando le
azioni e la parole di Nostro Signore nel
Vangelo, per trovarvi il modo di condursi e attirare in sè, colla preghiera e
coll’imitazione, le disposizioni di questo divino Modello. 1) Così se ne
ammirerà la prudenza nella vita nascosta: passa trent’anni nella pratica
di quelle virtù che ci costano tanto, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà,
prevedendo che, senza questa lezione di cose, noi non avremmo mai saputo
praticare queste così necessarie virtù. E non se ne ammirerà meno la prudenza
nella vita pubblica: lotta col demonio così da sconcertarne i disegni e
confonderlo con risposte che non ammettono replica; porge il suo insegnamento
secondo le circostanze; non palesa se non gradatamente la sua qualità di Messia
e di Figlio di Dio; usa paragoni familiari per far meglio capire il suo
pensiero, e parabole per coprirlo o svelarlo secondo che volevano le
circostanze; smaschera abilmente gli avversari e risponde alle capziose loro
interrogazioni con altre domande che li sconcertano; forma progressivamente gli
apostoli, sopportandone i difetti e adattando l’insegnamento alla loro capacità
“non potestis portare modo” 1033-1; sa peraltro dir loro dure
verità, come l’annunzio della sua passione, a fine di prepararli allo scandalo
della croce; anche nel corso della dolorosa sua passione risponde con calma così
ai giudici come ai loro servi, sapendo tacere a tempo opportuno;… sa insomma
conciliare in ogni cosa la più perfetta prudenza con la fermezza e la fedeltà al
dovere.

2) Il suo insegnamento poi si compendia in queste parole: “Cercate prima il
regno di Dio e la sua giustizia… Siate prudenti come i serpenti e semplici
come le colombe… Vigilate e pregate: Quærite ergo primum regnum Dei et
justitiam ejus… Estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut
columbæ…
1033-2 Vigilate et
orate”
 1013-3.

Meditare questi insegnamenti e questi esempi e ardentemente supplicar Nostro
Signore di farci parte della sua prudenza: tal è il mezzo principale di
perfezionarsi in questa virtù.

1034.   b) Coltiveranno poi
gli elementi costitutivi della prudenza di cui abbiamo parlato, vale a dire il
buon senso, l’abito della riflessione, la docilità a consultare gli altri, lo
spirito di risolutezza, lo spirito di previsione e di circospezione.

1035.   c) Infine daranno alla
loro prudenza le qualità additate da S. Giacomo 1035-1, il quale, dopo avere distinta la vera
dalla falsa sapienza, aggiunge: “Quæ autem desursum est sapientia, primum quidem
pudica est, deinde pacifica, modesta, suadibilis, plena misericordia
et fructibus bonis, non judicans, sine simulatione”
.

Pudica, vigile nel serbare quella purità di corpo e di cuore che ci
unisce a Dio, e quindi all’eterna sapienza.

Pacifica, serbando la pace dell’anima, la calma, la moderazione, la
ponderazione che giovano a prendere savie risoluzioni.

Modesta, piena di condiscendenza verso gli altri, e quindi anche
suadibilis, facile a lasciarsi persuadere e a cedere alle buone ragioni;
scansando così gli sdegni provocati dalle contese.

Plena misericordia et fructibus bonis, piena di misericordia verso gli
sventurati, lieta di beneficarli, perchè è segno di cristiana saggezza
l’accumulare tesori per il cielo.

Non judicans, sine simulatione, senza parzialità nè doppiezza e senza
ipocrisia, difetti che turbano l’anima e il giudizio.

1036.   I
perfetti praticano
la prudenza in modo eminente, sotto l’efficacia del dono del consiglio, come
spiegheremo trattando della via unitiva.

NOTE

1016-1 Cassiano,
Confer. II; S. G. Climaco, La scala, XXVI;
S. Tommaso, IIª IIæ, q. 47-56; C. De Smedt, Notre vie surnaturelle,
t. II, p. 1-33; P. Janvier, Quaresimale 1917 (Marietti,
Torino).

1016-2 Rom., VIII, 6-8.

1016-3 Matth., XVI, 26.

1017-1 “Prudentia est et vera et
perfecta quæ ad bonum finem totius vitæ recte consiliatur, judicat et præcipit”.
(S. Tommaso, IIª IIæ, q. 47, p. 73).

1018-1 Ideo necesse est quod prudens
et cognoscat universalia principia rationis et cognoscat singularia, circa quæ
sunt operationes” (S. Tommaso, IIª IIæ, q. 47, a. 3).

1024-1 Ephes., V, 15.

1031-1 Per non tornare più volte
sulle stesse virtù, indichiamo, per quanto è possibile, di ogni virtù il grado
che corrisponde alle varie tappe della perfezione.

1033-1 Joan., XVI, 12.

1033-2 Matth., VI, 33; X, 16.

1033-3 Marc., XIII, 33.

1035-1 Jac., III, 13-18.

 
Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy
(martinwguy@yahoo.it).

Ultima revisione: 1 febbraio 2006.