B. MARIA DELLA PROVVIDENZA (1825-1871)

Il 1-11-1853, durante l’esposizione del SS. Sacramento, Eugenia si sentì mossa a fondare un’associazione di preghiere e di sacrifici per i defunti. Il giorno dopo si sentì ispirata a fondare una Congregazione con lo scopo di zelare la devozione alle anime del Purgatorio. Spaventata dalle difficoltà che tale opera richiedeva, chiese a Dio l’adempimento di alcune condizioni che si verificarono un po’ alla volta. Diceva, infatti, tra sé: “Se Dio vuole questa fondazione, vi riuscirò malgrado le apparenti contrarietà”. Ormai “folle di amore per le anime del Purgatorio”, con il consenso del suo confessore, fece, a dodici anni di distanza dal giorno della “sua conversione”, il voto eroico di carità per i defunti e lo portò al collo scritto su pergamena.

Questa fervente devota delle anime del purgatorio nacque a Lillà (Francia) il 25-3-1825, terzogenita dei sei figli che Enrico Smet ebbe dalla moglie. Fin dai primi anni Eugenia si sentì grandemente inclinata a compiere piccoli sacrifici a suffragio delle anime purganti. Quando sentiva suonare da morto era capace di interrompere la sua corsa sfrenata dietro le farfalle per inginocchiarsi, pregare per i defunti e invitare le coetanee a fare altrettanto.
 I genitori nel 1836 l’affidarono all’educazione della Società del Sacro Cuore di Gesù. Eugenia crebbe ubbidiente, studiosa, molto devota all’Eucaristia. Trascorreva volentieri parte della sua ricreazione davanti al SS. Sacramento. Incuriosita, un giorno una sua maestra le chiese quali preghiere dicesse. Ella rispose: “Io dico tutti i giorni le Litanie dello Spirito Santo per essere illuminata sulla vanità del mondo e il Veni Creator per conoscere la mia vocazione”. Nel ritiro che fece il 25-1-1842, che chiamò sempre il giorno della “sua conversione”, promise di non rifiutare a Dio nessun sacrificio.
 A 19 anni Eugenia andò ad abitare coi genitori a Loos, nei pressi di Lilla. Spiacente di non potere farsi suora a causa della poca salute, pregava: “Signore, prendimi; io non so donarmi”. A volte le sembrava di udirne in fondo al cuore la risposta: “Io farò di te un vaso di elezione Tu sarai religiosa, ma non come un’altra”. Nel 1850 fece voto di verginità.
 Per tutto il tempo che rimase in famiglia fu di una straordinaria attività perle opere di carità e il culto divino. Con uno zelo gioioso, perseverante, soprannaturale, organizzò pellegrinaggi e processioni del SS. Sacramento: questuò il denaro occorrente per la riparazione di chiese, aiuto ai missionari, il soccorso ai carcerati.
 Il 1-11-1853, durante l’esposizione del SS. Sacramento, Eugenia si sentì mossa a fondare un’associazione di preghiere e di sacrifici per i defunti. Il giorno dopo si sentì ispirata a fondare una Congregazione con lo scopo di zelare la devozione alle anime del Purgatorio. Spaventata dalle difficoltà che tale opera richiedeva, chiese a Dio l’adempimento di alcune condizioni che si verificarono un po’ alla volta. Diceva, infatti, tra sé: “Se Dio vuole questa fondazione, vi riuscirò malgrado le apparenti contrarietà”. Ormai “folle di amore per le anime del Purgatorio”, con il consenso del suo confessore, fece, a dodici anni di distanza dal giorno della “sua conversione”, il voto eroico di carità per i defunti e lo portò al collo scritto su pergamena.
 La sua Associazione dopo tre mesi contava già 1.500 iscritti, con grande consolazione dei parroci che videro aumentate le intenzioni di Messe e le comunioni. Pio IX benedisse la pia unione e il vescovo di Lilla l’approvò affiliandola alla Confraternita del Suffragio di Roma. Mentre attendeva in preghiera l’ora di Dio, Eugenia comprese che sarebbe diventata religiosa solamente a trentatré anni. Poté perciò dire con sicurezza al confessore che la visitava preoccupato durante una sua grave malattia: “Non morirò, l’opera del Purgatorio non è ancora fatta”.
 Nel 1855 alla beata venne l’idea di ricorrere al consiglio del curato d’Ars, S. Giovanni M. Vianney (+1859). Questi le fece rispondere dal Toccanier, suo vicario, che ne approvava la vocazione allo stato religioso e la fondazione della nuova congregazione. Dopo essere rimasto in preghiera per oltre un’ora, aveva difatti esclamato: “Ecco l’opera che Dio richiedeva da molto tempo”. La Smet frattanto venne a sapere che a Parigi, il sacerdote Largentier, Vicario a St-Merry e direttore dell’Arciconfraternita di Nostra Signora del Suffragio, pensava alla fondazione di una Congregazione per il sollievo delle anime del Purgatorio. In un incontro a Lilla con lui, ebbe modo di costatare che le loro idee differivano in diversi punti. Il Largentier avrebbe voluto che le suore si dedicassero all’insegnamento e la Smet invece, abituata ad attendere tutto dalla Provvidenza, “da una spilla al cielo”, pensava di adibire le Suore ad opere apostoliche gratuite. Ciò nonostante il S. Curato d’Ars le consigliò il viaggio a Parigi essendo l’opera “la realizzazione d’un pensiero d’amore del Cuore di Gesù”.
 All’inizio del 1856 Eugenia partì per Parigi. Trovò una comunità piccola e priva di risorse economiche. II curato della parrocchia, il sacerdote Gabriel, le diede una lettera di raccomandazione per l’arcivescovo, Agostino Sibour (+1857). Il presule l’accettò volentieri come fondatrice della nuova congregazione ed ella si adoperò subito per assicurare all’opera nascente dei benefattori.
 Fu una vera provvidenza per lei l’avere incontrato Maria Panon-Desbassyns, viscontessa Jurien (+1878), che dedicò il suo ingente patrimonio al riscatto dei negri e degli schiavi nell’isola de la Réunion, sua patria; al soccorso di Pio IX; al restauro di Prouille, culla dell’Ordine Domenicano. Essendosi costei accorta che la fondatrice mancava di una guida spirituale, la mise in relazione con il suo confessore, il P. Luigi Aussant OP. (+1856), Priore del Convento di S. Giacomo in Parigi.
 Il santo Curato d’Ars più volte aveva predetto al Toccanier che la comunità religiosa della Smet si sarebbe affermata e le aveva fatto scrivere: “Le vostre croci sono dei fiori che daranno presto i loro frutti”. In realtà non essendole stato possibile andare d’accordo su tutti i punti con il Largentier, si rese necessaria la separazione. Ebbero così origine le Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio che, con l’aiuto di Don Gabriel (+1866), la beata resse fino alla morte con il nome di Madre Maria della Provvidenza. Prima di trovare la strada giusta trascorse due anni in penosi brancolamenti, nonostante l’abilità nel trovare i mezzi per uscire dalle situazioni più complicate. Scrisse al Curato d’Ars: “Discendo da una croce per salire su di un’altra. So bene che la vita che abbraccio è una vita di espiazione e che offrendomi per le anime del Purgatorio, mi sono costituita vittima. Tuttavia, per i primi anni, se il buon Maestro volesse concedermi una salute migliore, come lo ringrazierei!”. La fondatrice soffriva di nevralgie e di mal di denti tanto da non avere un momento di pace. Inoltre la sua assistente era per lei una croce quotidiana per l’incostanza, il carattere difficile e la costituzione malaticcia. Il Santo Curato le faceva rispondere: “Il buon Dio vuole le vostre sofferenze perché attiriate per mezzo di esse grazie abbondanti su voi e le vostre opere”. La parola d’ordine delle Ausiliatrici era: pregare, soffrire e agire per le anime purganti. Esse l’attuarono in parte con la cura dei malati a domicilio, opera a quei tempi ancora poco praticata. Per far fronte alle impellenti necessità, la beata sovente usciva a questuare nonostante la ripugnanza che provava. Come S. Teresa d’Avila ella attendeva tutto da S. Giuseppe. Aveva preso l’abitudine di portare sempre in tasca una statuetta del suo protettore ed egli in più occasioni le fece toccare con mano quanto gradisse la semplicità della sua fede.
 Le Ausiliatrici assunsero la loro fisionomia definitiva quando il P Basuiau S.J. divenne loro direttore spirituale. Appena il S. Curato d’Ars lo seppe, esclamò: “Ah, le povere piccine! Sono salve!”. La beata, di chiara intelligenza, di sicuro giudizio, di carattere ardente e deciso, abituata a far prevalere le sue idee e la sua volontà, promise alla sua nuova guida di essere docile ai suoi comandi come una bambina. Talora gli diceva: “Voi mi spezzate! Voi mi togliete tutto il mio slancio!”. Il P. Basuiau le rispondeva calmo: “Piaccia a Dio che sia così e che lo spirito di nostro Signore sostituisca la vostra naturale attività!”. Questa specie di noviziato durò sette anni, che ella giustamente chiamò “i sette anni d’abbondanza”.
 Dio permise che oltre alle sollecitudini della carità, ai combattimenti contro se stessa, alle sofferenze fisiche cagionatele da un male che la minava sordamente, Madre M. della Provvidenza andasse soggetta a terribili pene interiori, aumentate dalla sua eccessiva sensibilità. Eppure, nonostante le aridità interne e le sofferenze fisiche continue, non trascurava la Via Crucis quotidiana, l’uso del cilicio e dei flagelli, la mortificazione della gola. La beata stessa annotò: “Se vogliamo trovare Dio perfettamente, occorre morire pienamente a noi stessi tra le braccia di Dio, abbandonarci a Lui senza riserva, lasciarlo padrone di noi affinchè operi in noi secondo il suo beneplacito”. E finché visse insegnò alle sue religiose più con l’esempio che con le parole, a non avere “che un solo sentimento, l’amor divino; un solo bene, il perfetto possesso di Dio; una sola occupazione, glorificare il Sacro Cuore di Gesù; un solo pensiero, Gesù”.
 Nel 1859 la beata perse il suo più grande amico e benefattore, il Curato d’Ars, che l’austero p. Basuiau le aveva impedito di andare a trovare. Nel 1864 perse anche lui, perché fu destinato dai superiori alle missioni della Cina. La fondatrice, nelle sue note intime scrisse: “Trovo un po’ di calma quando mi figuro di fare il mio purgatorio… Sono separata da tutto quello che mi calmava, mi riposava; mai potrò esprimere la desolazione della mia anima. Ah, quando mi sento oppressa dal peso della mia debolezza, e penso che mantengo o che devo mantenere 45 persone, non faccio che ripetere: “Io posso tutto in Colui che mi da forza”. Mio Dio, se non posso dire, malgrado tutto, alleluia, io dico nell’intimo dell’anima mia, malgrado tutto, fiat. Non si può soffrire tanto senza che ci sia in fondo una grande benedizione”.
 Chi aiutò Madre M. della Provvidenza ad uscire dalla depressione psichica in cui era caduta fu il P. Olivaint S.J. il quale capì di avere il compito di aprire l’animo di lei alla speranza. Dopo che conobbe le origini delle Ausiliatrici esclamò rapito: “Non ho mai visto nulla di simile. Se voi mancate di fiducia nel Signore, meritate di essere impiccata”. Nonostante i suoi saggi consigli, le sofferenze fisiche e morali gettavano talora la fondatrice in uno stato d’indecisione e di vero annientamento. Ripiegata su se stessa sembrava dubitare di tutto: della vocazione, della grazia, della vita eterna e persino della bontà del Signore. Il suo direttore spirituale l’obbligava a camminare con la rudezza quasi di un soldato. A volte l’animava: “Voi siete la chiavarda dell’opera di Dio… Non occorre che siate Ausiliatrice fino alla radice dei capelli?… Voglio darvi una ricetta per non soffrire… Lasciate la vostra vocazione di Ausiliatrice perché, ve lo ripeto, le vostre sofferenze entrano nei disegni di Dio, nel piano del vostro istituto. Come liberare le anime del Purgatorio senza soffrire? E per esse che il Signore mette il fuoco nelle vostre membra”.
 Se nella separazione dalle religiose, destinate a incrementare le case di recente fondazione, il cuore della beata sanguinava, allora doveva mettere in pratica l’insegnamento del direttore spirituale: “Va benissimo essere una buona Madre, ma per fare la superiora bisogna formarsi una buona testa e cercare prima di tutto la gloria di Dio”. La fondatrice era convinta di quanto le diceva la sua guida. Infatti, nel 1864 aveva già annotato: “Se Dio vuole ci manderà delle vocazioni. O Gesù, quando comparirò davanti a Te, non mi domanderai se ho cinquanta case, ma se avendo cinquanta suore, ho fatto quello che ho potuto perché esse siano ben formate”.
 L’attività della Madre fu febbrile fino all’ultimo respiro. Era solita dire: “Se non mi ammazzo, muoio”. Negli ultimi anni di vita, durante l’assedio di Parigi, dopo il disastro di Sedan (1870), riservò ad ospedale una parte di casa madre, e non potendosi recare al capezzale dei soldati feriti per la grande debolezza, preparava per essi, nella sua cella, pietanze speciali. Il P. Olivaint, mal sopportando di vederla sovente abbattuta e languente nonostante il coraggio virile che cercava d’infonderle, sospettò in lei una brutta malattia. Sottoposta ad una visita medica, la scienza diede un responso tremendo: da almeno dieci anni la madre era affetta da un cancro al seno, ormai incurabile.
 Si preparò alla morte serena. Talora fu udita dire sorridendo: “Tra tutte le cose che non offendono Dio, ce ne sono cinque che ho temuto di più: lasciare la famiglia; fondare una congregazione religiosa; non avere assicurato il necessario per il sostentamento dei membri; il contrarre debiti; l’essere colpita da un cancro. Per grazia di Dio queste cose mi sono capitate tutte”. Di mano in mano che le sue sofferenze aumentavano diceva alle religiose: “Dio ha ricolmato di grazie la Società. Ah, se sapeste come sento che essa è opera di Dio e non di me! Egli ha scelto ciò che c’era di più miserabile per compiere la sua volontà”. In una delle sue ultime sere fu udita pregare: “Mio Dio, non ne posso più, lo vedi bene, ma posso ancora dirti: per il passato, che ti amo; per il presente, che ti amo; per tutte le mie sofferenze, che ti amo; per l’avvenire che ti amo, che ti amerò sempre, in attesa di poterti amare eternamente”.
 La fondatrice delle Ausiliatrici morì il 7-2-1871 dopo aver raccomandato loro lo zelo per le anime purganti, lo spirito di famiglia e soprattutto la carità. Pio XII la beatificò il 26-5-1957. I suoi resti sono venerati a Parigi nella casa madre della Congregazione.
 
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 125-130.
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