B. ALESSIA LE CLERC (1576-1622)

Per liberarsi dalle attrattive del mondo che continuavano a tiranneggiarla, in occasione di una festa lo fece chiamare perché la confessasse, ma il Santo ”non ne ebbe la comodità”. La Beata perdette allora la poca devozione che aveva, ma Dio non cessò di correrle dietro. Per tre domeniche, durante la Messa solenne, le fece udire il suono di un tamburo che le rapiva i sensi. La terza domenica le fece vedere per aria un demonio che batteva quel tamburo e una schiera di giovani che lo seguivano con grande allegrezza. Atterrita da quella visione, confessa Alessia: “Io risolvei in quello stesso momento di non appartenere più a quella società, e di fare, d’allora in poi, ciò che avrei saputo essere più gradito a Dio quand’anche ne avessi a morire”. Dopo simile proposito attesta ancora la Beata: “Mi sembrò che mi fosse tolto tutto ciò che era nel mio intimo, e vi fosse collocato un altro spirito”.

9 gennaio
È la fondatrice, con S. Pietro Fourier (+1640), della Congregazione di Nostra Signora delle Canonichesse regolari di Sant’Agostino. Alessia nacque il 2-2-1576 a Remiremont, nei Vosgi (Francia), da benestanti e onorati genitori. Crebbe bella e amante del mondo, ma a vent’anni, durante una convalescenza, rimase molto impressionata alla lettura di un libro contenente una raccolta di tragici racconti di infelici ai quali la vergogna aveva chiuso la bocca nel tribunale della penitenza. Nella sua Relazione, che più tardi scrisse per ordine del confessore, attesta della confessione che fece: “Fu la sola buona durante questi vent’anni”. Ciò nonostante “non fu sufficiente a ritrarmi dai peccati e vanità che commettevo, perché ero ignorante e non c’erano ecclesiastici che m’istruissero nella virtù”. Sulla china del vizio fu trattenuta da un grande senso dell’onore e da una certa devozione alla Madonna.
La Beata nel 1595 si trasferì senza rimpianti con i genitori a Hymont, nei pressi di Mattaincourt, dove, tre anni dopo, vide arrivare Pietro Fourier in qualità di nuovo curato. Per liberarsi dalle attrattive del mondo che continuavano a tiranneggiarla, in occasione di una festa lo fece chiamare perché la confessasse, ma il Santo ”non ne ebbe la comodità”. La Beata perdette allora la poca devozione che aveva, ma Dio non cessò di correrle dietro. Per tre domeniche, durante la Messa solenne, le fece udire il suono di un tamburo che le rapiva i sensi. La terza domenica le fece vedere per aria un demonio che batteva quel tamburo e una schiera di giovani che lo seguivano con grande allegrezza. Atterrita da quella visione, confessa Alessia: “Io risolvei in quello stesso momento di non appartenere più a quella società, e di fare, d’allora in poi, ciò che avrei saputo essere più gradito a Dio quand’anche ne avessi a morire”. Dopo simile proposito attesta ancora la Beata: “Mi sembrò che mi fosse tolto tutto ciò che era nel mio intimo, e vi fosse collocato un altro spirito”.
Non mancò ad Alessia l’occasione di mostrare la sua costanza. Un giorno i genitori la costrinsero a prendere parte a una festa di nozze ed ella, durante il banchetto, emise il voto di perpetua verginità. Lasciò, quindi, ogni vanità nel vestito, si coperse la testa con un velo bianco e corse dal curato a dirgli che avrebbe fatto quello che le avrebbe indicato come più gradito a Dio. Il P. Fourier la rimproverò perché aveva fatto il voto senza il consiglio di nessuno e le prescrisse una confessione generale. Da parte sua Dio permise che fosse assalita da scrupoli e tentata dal diavolo in sconto dei peccati commessi. Poiché bramava farsi religiosa, il curato le suggerì di entrare nel monastero delle clarisse di Pont-à-Mousson, ma il Signore durante la preghiera le ispirava di “fare una nuova casa di religiose, dove si praticasse tutto il bene possibile”. Pietro Fourier le pose allora come condizione indispensabile che si trovasse delle compagne adatte allo scopo, e la Beata in poco tempo gliene presentò quattro. Non potendo abbandonarle, il Santo le presentò ufficialmente ai suoi fedeli nella notte di Natale del 1597 e, un mese più tardi, affidò loro il compito d’istruire le fanciulle povere della parrocchia.
Quelle giovani secondo alcuni erano delle pazze, secondo altri delle illuse. Il padre di Alessia, impressionato da quelle dicerie, decise di mandare la figlia come convittrice a Ormes, presso le Ospitaliere di Santa Elisabetta. Alessia non vi trovò quello che desiderava. Oppressa dalle inquietudini di spirito, passava le notti davanti al SS. Sacramento piangendo e pregando, digiunava continuamente e tre volte il giorno si flagellava a sangue. Ottenne alfine di essere ospitata con le sue compagne nell’abbazia di Poussay dalle canonichesse secolari Madame d’Apremont e Madame du Fresnel, spiritualmente dirette da Pietro Fourier. Nell’ottava del Corpus Christi (1598), per meglio conoscere la volontà di Dio, esse fecero il cosiddetto ritiro dei biglietti. Il Santo aveva loro prescritto di rispondere, senza consultarsi, a otto domande che avrebbero garantito la realtà della loro vocazione. Soddisfatto delle risposte, egli permise che, sotto la guida di Madame d’Apremont, aprissero una scuola a Poussay e vivessero in comunità conforme al regolamento provvisorio che aveva scritto per loro. Tre volte la settimana il Fourier andò a fare loro delle conferenze spirituali finché non gli fu possibile trasferirle a Mattaincourt (1599), questa volta sotto la direzione di Alessia.
In poco tempo le alunne si moltiplicarono talmente che le maestre bastavano appena. Essendo più vicine, il Fourier potè occuparsene maggiormente dando loro lezioni di ortografia, di lettura e di aritmetica, curando la loro formazione pedagogica e soprattutto spirituale con una fermezza che rasentava sovente la durezza. Un recolletto di Verdun, sostenuto dal vescovo e dai gesuiti di Pont-à-Mousson, presso i quali il Santo aveva studiato, cercò di guadagnare le maestre di Mattaincourt alle clarisse da lui riformate in quella città.
Il Fourier per non mancare di deferenza verso i suoi venerati maestri, consigliò alle sue figlie spirituali di ubbidire, ma Alessia si rifiutò. La Vergine SS. le era apparsa rivestita dell’abito dell’Ordine, e le aveva messo il bambino Gesù tra le braccia dicendole: “Persevera nella tua prima vocazione e sii senza timore; egli sarà la tua speranza”.
I gesuiti erano persuasi che se il curato le avesse abbandonate, le maestre non avrebbero atteso un anno a cambiare risoluzione. Il Santo seguì il loro consiglio, ma al termine di un anno costatò che Alessia e le sue compagne erano più che mai decise a continuare l’opera intrapresa. Da quel momento il Santo le segui in tutti i loro passi. Essendo cresciute di numero, Madame d’Apremont (+1606) ne istallò alcune in una casa di sua proprietà a Saint-Mihiel (1602), sotto la direzione di Gante André, prima compagna di Alessia. La Beata fu felice di non esserne stata eletta superiora, ma appena vi giunse fu assalita da tentazione contro la fede e visse un periodo estremamente penoso nonostante gli incoraggiamenti di Pietro Fourier.
La fama del bene che operavano le religiose giunse alle orecchie del cardinale Carlo di Lorena, primate di Nancy e legato pontificio. Egli ne chiese alcune per la sua diocesi e il Fourier gli mandò da Saint-Mihiel Alessia e una delle sue compagne. La scuola che vi fu aperta prosperò immediatamente.
Il Santo curato ne approfittò per chiedere al cardinale l’approvazione di un nuovo regolamento e il riconoscimento ufficiale della Congregazione. Le vocazioni affluirono in tale numero che gli fu possibile aprire altre scuole a Pont-à-Mousson(1604) e a Saint-Nicolas-du-Port(1605). Allora Alessia non esitò più a concepire grandi disegni. Nel 1606 acquistò a Nancy il priorato benedettino di Nostra Signora che, per l’ampiezza e la posizione centrale, conveniva magnificamente a una grande scuola.
Con lo sviluppo della Congregazione la Beata si sentiva qualche volta oppressa dalla carica di supcriora avendo avuto dei disinganni riguardo a diverse novizie. Il Fourier era troppo lontano da Nancy per continuare a vigilare sui minimi dettagli. Abituata ad ubbidire, Alessia aveva cercato sul posto un confessore che la seguisse da vicino. Non le mancarono purtroppo dei direttori spirituali autoritari e gelosi del loro ministero che le impedirono di ricorrere al consiglio altrui. Ella si lasciò dominare da essi fino al punto di modificare il regolamento della casa. Le superiore delle altre scuole, impressionate, ne avvertirono il fondatore che le convocò a Nancy per annunciare loro che, non essendo che un povero curato di campagna, si riteneva incapace di dirigerle più a lungo. Alessia gli rispose che avrebbe provveduto diversamente, ma la Madre Gante dichiarò che non avrebbe accettato mai la direzione di un altro sacerdote. Il suo intervento ricondusse i due fondatori a una più serena considerazione della situazione.
Alessia rimase superiora di Nancy, ma alle preoccupazioni della pesante amministrazione, ai lutti, alla difficoltà di trovare i denari occorrenti per estinguere i debiti contratti, le si aggiunsero estasi spossanti e dubbi contro la fede talmente violenti da costringerla ad affermare: “Se Dio avesse permesso di uccidersi, io lo avrei fatto volentieri piuttosto di trovarmi in questo stato, e avrei accettato volentieri di buon cuore ogni specie di morte, se Dio me ne avesse voluto dare la scelta”.
Completamente disarmata, Alessia chiese di fare ritorno a Mattaincourt (1609). Il Fourier la ricevette duramente, e le ordinò di restare alle dipendenze di una superiora molto rude con il compito di occuparsi dei malati. Incapace di comprendere le delicatezze della suddita predestinata, più irritata che edificata dall’umile deferenza di lei, la superiora non risparmiò nulla per umiliarla e trattarla con modi bruschi tanto da suscitare proteste da parte delle consorelle.
Il Fourier interveniva soltanto per aggravarne la situazione. Ogni tanto la mandava a mendicare di porta in porta e, mentre assisteva la madre morente, ebbe il coraggio di ordinarle di andare in chiesa ad addobbare l’altare. La Beata ubbidì con la morte nell’anima.
Sotto un tale regime, che avrebbe dovuto spezzarle il corpo e l’anima, Alessia ritrovò la salute e la pace. Rassicuratesi delle virtù della sua collaboratrice, Pietro Fourier la mandò nelle case in cui andavano moltiplicandosi le difficoltà: a Pont-à-Mousson nel 1610 e a Verdun nel 1612. La presenza di Alessia fu sufficiente per fare di quest’ultima casa il centro della Congregazione. Nel 1614 fu radunato in essa un capitolo generale e, l’anno successivo, una bolla pontificia diede al nuovo istituto l’esistenza canonica, pur senza prendere in considerazione le scuole esterne. A richiesta del primate di Nancy, Antonio de Lenoncourt, il fondatore mandò Alessia e Suor Angelica Milly presso le Orsoline di Parigi affinchè vi studiassero il metodo d’istruire le ragazze interne ed esterne, e si iniziassero agli usi della vita monastica. Esse vi restarono alcuni mesi, e l’accordo tra loro fu così perfetto che la superiora delle Orsoline propose la fusione delle due famiglie religiose. Pietro de Bèrulle (+1629), fondatore dell’Oratorio, consultato al riguardo, rispose: “Io credo che Dio non voglia questa unione e che non bisogna più pensarci”.
Il primo monastero della Congregazione di Nostra Signora fu eretto a Nancy per interessamento di Antonio de Lenoncourt. Nel 1616 Paolo V promulgò la bolla che, completando la precedente, autorizzava le monache a ricevere delle allieve interne allo scopo di ammaestrarle, ma soltanto a titolo provvisorio. Un’altra bolla del 1628 permetterà ai membri della Congregazione di ricevere le esterne nella clausura e di emettere un quarto voto che le impegnasse ad istruire la gioventù. Le costituzioni, frutto di vent’anni di lavoro, di preghiere e di penitenze, furono approvate dal vescovo di Toul il 9-3-1617. Il 21 marzo ebbe luogo nella collegiata di San Giorgio a Nancy la vestizione delle prime religiose di Nostra Signora le quali si recarono subito dopo in processione nel loro nuovo monastero, dove fu stabilita la clausura.
Alessia divenne Madre M. Teresa di Gesù e m contemporaneamente novizia e maestra delle novizie. Ad esse inculcò la devozione che sentiva per l’umanità del Signore e la sua passione, volendo fare acquistare loro le più solide virtù. Ad una novizia, che faceva troppo affidamento sulle estasi e sui rapimenti per portare le anime Dio, disse: ”Per noi che siamo tanto piene di noi stesse e di cosi numerosi difetti, sarebbero cose da temersi più che da desiderarsi…. Perciò, sorella mia, non ve le augurate; io faccio più caso di un filo di umiltà che di cento estasi”.
La Beata si preparò alla professione religiosa lottando per dieci mesi contro tentazioni quasi continue ed orribili. Eletta superiora nel 1618, amò le sue suddite come una madre e fu ad esse di esempio intervenendo con molta puntualità ed esattezza a tutti gli esercizi comuni, non lasciandosi assorbire dalla moltitudine delle faccende e stando di continuo alla presenza di Dio. Fedele al motto: ”Lo zelo dell’istruzione è l’oggetto della mia vocazione”, era felice di andare sovente nelle aule scolastiche per assicurarsi del profitto delle alunne e del buon funzionamento delle scuole.
Madre M. Teresa di Gesù vegliava sulla salute delle monache e voleva che tutte avessero sette ore per dormire, una camera ed un letto adatti e puliti, vivande sane e pane buono. A nessuna lasciava mancare il necessario, perché se l’abbondanza è contraria alla povertà, la grettezza è contraria alla carità.
Diceva: “Queste cure conquistano il cuore degli inferiori, inducono i superiori ad esigere da essi una più esatta osservanza delle regole e tolgono parecchie occasioni di lamenti e di mormorazioni”. Affidava le cariche del monastero a persone capaci di disimpegnarle e vegliava perché se ne osservassero le regole. Non credeva facilmente a chi le faceva rapporti sul conto altrui, ed era piena di sollecitudine per le inferme. Amava le religiose virtuose, ma non lo mostrava esteriormente, evitando ogni amicizia particolare. Il suo modo di comandare non era né imperioso, né importuno. Quando le religiose ricorrevano a lei non mostrava mai noia anche per le cose che non erano di suo gradimento. Difatti soleva dire: “Meno c’è di mio, più c’è di Dio”. Sopportava con una grazia particolare ogni sorta di temperamenti. Scusava le piccole debolezze delle religiose e non permetteva che se ne parlasse male specialmente in sua presenza.
La Beata aveva avversione per i monasteri costruiti troppo splendidamente, ma aveva grande cura delle loro chiese e dei loro altari. Durante la giornata visitava sovente Gesù sacramentato. Mostrava un grande zelo per l’Ufficio divino al quale assisteva con rispetto e attenzione. Siccome era dotata di una bella voce, ella sostituiva nell’ufficiatura le malate e le assenti con una devozione che rapiva, Aveva cura che le feste del Signore e della Madonna fossero celebrate con la massima solennità. Quando sapeva che qualche monaca era afflitta da pene interiori, la mandava davanti alla statua della SS. Vergine dicendole: “È l’immagine della vostra buona madre, andateci con fiducia; se avete risolto di servirla bene, Ella vi accorderà quanto le chiedete”. Sul crocifisso che aveva in cella aveva fatto scrivere a grossi caratteri, con riferimento alla propria miseria: “il nulla, l’ignoranza, il peccato”.
Nel 1620 fu sollevata la questione dell’unione dei monasteri. I Gesuiti, da cui spiritualmente dipendevano, avevano suggerito di riunirli sotto un’unica superiora generale, ma tale novità, non conforme alle usanze dei tempi, sarà introdotta soltanto nel 1897. La Beata si recò un giorno a St-Nicolas-du Port per stabilirvi la clausura e aiutare la nuova superiora che si mostrò incapace alla carica, ma vi cadde gravemente malata e fu assalita dalle solite penosissime tentazioni dalle quali la liberò la Madonna che le apparve mentre era in estasi. Ritornò a Nancy talmente indebolita che ritenne suo dovere presentare le dimissioni. Era ormai disfatta dalle lotte che aveva sostenuto contro le tentazioni, dall’austerità della vita e dalle mortificazioni che aveva sempre praticate. Un anno prima della morte aveva fatto fare una bara con catafalco e coltre mortuaria, l’aveva fatta mettere in una stanza e tutti i giorni si era rinchiusa in essa per meditare sulla sua fine. Nella sua Relazione attesta: “Io ho sempre avuto un gran desiderio di morire dopo che ho conosciuto il vero bene e i pericoli di questa vita”.
La Beata trascorse a letto gli ultimi mesi della sua esistenza tra crescenti dolori e tentazioni che ogni tanto la facevano gemere: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonata? Io so che merito l’inferno, ma ho sempre sperato di essere l’oggetto delle tue grandi misericordie”. Otto giorni prima di morire riacquistò la pace di spirito, ma andò soggetta a convulsioni talmente frequenti e a bruciori talmente lancinanti che muoveva a compassione quanti la visitavano, non escluso Pietro Fourier.
Madre M. Teresa di Gesù morì il 9-1-1622 e fu sepolta nel coro del monastero. Per due o tre anni nella sua cella e presso il suo sepolcro le monache percepirono soavi profumi. In seguito, con la loro dispersione a causa delle guerre, ogni traccia della sepoltura della fondatrice andò perduta. Pio XII beatificò Alessia Le Clerc il 4-5-1957. Nel 1950 fa scoperto per caso il suo corpo, e nel 1960 fu traslato nella cappella del monastero con grande solennità.
 
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 138-144.
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