ANALISI DEI PRIMI CONCETTI DI ECONOMIA: MATERIA DI PRODUZIONE

Di P. L. Taparelli d'Azeglio. S.J.,  1. Concetto economico di materia diverso dal filosofico. – 2. Nel produrre è economicamente passiva, – 3. benché ritenga incorporato il lavoro. – 4. Obbiezione: Se opera è agente. – 5. Risposta: Cotesta azione è già pagata. – 6. Importanza giuridica di tal teoria. – 7. Materia prima o produzione sostanziale, – 8. diversa dalla trasformazione o produzione accidentale.

ANALISI DEI PRIMI CONCETTI DI ECONOMIA
«La Civiltà Cattolica», 1859, a. 10, Serie IV, vol. III, pp. 129-142.

MATERIA DI PRODUZIONE

SOMMARIO
1. Concetto economico di materia diverso dal filosofico. – 2. Nel produrre è economicamente passiva, – 3. benché ritenga incorporato il lavoro. – 4. Obbiezione: Se opera è agente. – 5. Risposta: Cotesta azione è già pagata. – 6. Importanza giuridica di tal teoria. – 7. Materia prima o produzione sostanziale, – 8. diversa dalla trasformazione o produzione accidentale.

1. Solo il Creatore può trarre le cose dal nulla; ed Egli stesso che usò questo potere al principio del mondo, riposò poscia, dice la Scrittura Santa, né nulla più creò nel mondo materiale; lasciando alle forze naturali, governate dall'intelligenza dell'uomo e dalla Provvidenza divina, il compiere quel disegno che Egli avea abbozzato al principio dei secoli. Ogni lavoro dunque dell'uomo abbisogna di materia preesistente; ma di tale materia, che già sia dotata di certe forze o proprietà, della cui reazione l'intelligenza umana possa valersi per produrre colle combinazioni varie diverse utilità.
Altra è dunque la materia di che ragiona l'economista, da quella di che ragiona il filosofo. Questi intende per materia quell'ignoto principio, che investito dalle forze naturali entra a formare le diverse sostanze: quegli appella materia queste sostanze medesime, in quanto, nel modo proprio alla loro natura, ricevono l'azione dell'uomo, senza la quale niuna utilità acquisterebbero agli occhi dell'economista. Nella materia dunque del filosofo l'inerzia è una vera e totale privazione d'attività; nella materia dell'economista l'inerzia è solo rispetto all'acquistare da sè medesima nuovi gradi di utilità; ma non esclude quelle doti naturali, per cui possa corrispondere variamente al lavoro dell'uomo, che alle varie sostanze chiede utilità diverse.
La materia considerata dal filosofo essendo perfettamente passiva, non oppone per sè ostacolo, né aggiunge cooperazione; ma si lascia trasformare con pienissima indifferenza: onde può dal terreno trapassare nel frumento e divenire vegetabile e nutritiva; dal frumento passata in nutrimento dell'uomo diverrà carne e acquisterà l'immenso pregio di essere parte della persona ragionevole; ma potrà poi tornare nello sfacelo del sepolcro ad essere, benché la stessa materia, sotto tutt'altra forma.
All'opposto la materia dell'economista potrà dall'uomo ricevere nuova forma e nuova proprietà: ma nel riceverla non perde le qualità anteriori, mentre anzi da queste qualità dipende il riceverla e ritenerla. Così, per esempio, il lino, la seta, benché filati e poi tessuti, saranno sempre lino e seta: il ferro potrà diventare ago o sega o molla d'orologio, ed acquistare così tre diversissime utilità, ma rimarrà sempre ferro, né senza l'opera dell'uomo sarebbe mai stato che ferro greggio. In questo senso diciamo inerte la materia eco­nomica, benché le sieno necessarie quelle doti o proprietà specifiche, senza le quali non avrebbe l'utilità sua propria, quella cioè di ricevere e ritenere l'azione dell'uomo. Questa azione ella non l'ha prodotta, e però non è produttrice: ma l'ha ricevuta e ritenuta, e però è utile. A questo grado di utilità passiva corrisponde un valore ed un prezzo venale, che è il prezzo della materia prima. Quando l'uomo avrà aggiunto a tale materia una forma che la renda più utile, questa forma, frutto del lavoro umano, avrà essa pure il suo prezzo: così il pane vale più del frumento. E se dalla nuova forma risultasse utilità continua nell'usarla (come accade in uno strumento, p. e. nell'ago, nella sega, nella molla); questo uso avrà esso pure un valore, un prezzo distinto da quello della materia prima e della forma utile aggiuntale dal lavoro umano. Onde la sega costerà più che il ferro, e l'uso della sega potrà vendersi senza vendere la sega stessa: cosa che non potrebbe farsi del pane: giacché chi mai vorrebbe comprare l'uso del pane, coll'obbligo di restituire poi numericamente la pagnotta medesima?

2. Quindi vedete che la materia, sebbene non sia un agente di ricchezza in quanto al produrre utilità novella, pure è principio intrinseco, ed anche importantissimo della ricchezza, essendo quella a cui primariamente si riguarda nelle permutazioni: ed appunto per questo ella ha un suo valore ed un prezzo; cui certo non avrebbe, se non avesse in sè qualche utilità; benché sia incapace per sè di aumentarla. Certi economisti, che non badarono a questo e si lasciarono trascinare un po' troppo dalle astrazioni, dissero che nelle permutazioni i contraenti rimangono in possesso di ciò che avevano, essendosi contraccambiati valori uguali. E di qui poscia inferivano che nel mutuo il mutuante poteva trarre un frutto dal danaro imprestato, giacché quel danaro, come valore, era suo. Ma colui che toglie in prestito, o che compra, non chiede già soltanto un valore in astratto; chiede una mercanzia, vale a dire un valore concretato in una determinata materia; e così lo chiede, appunto perché da quella materia specificata dipende la soddisfazione del suo bisogno, e non già dal valore in astratto: in quella materia sta l'utilità, della quale abbisogna, e a cui niuna altra materia corrisponderebbe (1). Si parli pur dunque di valori in generale, finché trattasi tra banchieri (sebbene anche per essi non è sempre indifferente la materia); ma in ogni altro commercio il valore è richiesto come pura condizione di giustizia, la materia specificata è il vero fonte dell'utilità, e per conseguenza il vero motore impellente della permutazione. E qual motivo avrebbe il vetturale di permutare col pane del fornaio la fatica di trasportargli le farine, se il vetturale non abbisognasse di pane e il fornaio di chi gli trasporti la farina? Alla stessa maniera chi prende danaro in prestito abbisogna di moneta, chi chiede una cambiale al banchiere ha bisogno di una carta di credito. Sieno pure uguali i valori e della moneta e della carta, non per questo è indifferente l'aver l'una o l'altra. Il possessore dunque dell'una non è possessore dell'altra, né può trarre giustamente profitto da quella che non possiede: giacché il profitto dipende molte volte non dal valore in astratto, ma dalla materia determinata.

3. La materia è dunque in economia una sostanza improduttiva, ma capace per le sue proprietà naturali di ricevere quella forma, con cui l'uomo sa crescerne l'utilità. Onde egregiamente dice, il Marescotti, che dal connubio della materia con il lavoro umano nasce la ricchezza, vale a dire, i nuovi gradi di utilità aggiunti alla materia medesima (2). E la ricchezza risultante da tale connubio contiene in sè il valore di quella materia che fu soggetta al lavoro umano, e il valore di cotesto lavoro che in lei venne materiato ed entrò così nel commercio delle altre cose venali: di che, sono parole dello Scialoia, il valore reale rappresenta e verifica, per così dire, il valore potenziale (3) così della materia, come delle forze trasfomatrici.

4. Qui peraltro ci si potrà presentare un'obbiezione. «Se quella utilità maggiore, che dal lavoro umano si trasfonde nella materia, è ricevuta da questa in forza delle sue proprietà naturali; perché non volete voi concedere alla materia il nome di agente di produzione? La cooperazione di coteste doti naturali non è ella una vera azione; similissima a quella d'ogni altro stromento?»
L'argomento ha la sua gagliardia, la quale riuscirà anche più evidente se venga ridotto al concreto, al pratico. Donde nasce che col ferro voi potete fare degli aghi mediante una tal somma di lavo­ro, il quale se venisse applicato al legno non vi darebbe che quattro stecchi inutili? Donde se non da quelle forze chimiche e fisiche, da quelle duttilità, da quelle forze conduttrici del calorico, da quelle affinità chimiche che lo rendono capace di tempera ecc.? Or tutte coteste qualità esprimono delle vere operazioni naturali esercitate dal ferro. Dunque il ferro è vero agente di produzione. Dunque la materia in generale può con tutta verità annoverarsi tra gli agenti di produzione, ed assomigliarsi a qualunque altro stromento. Offerta così sotto forma concreta, l'obbiezione sarà intelligibile e parrà irrepugnabile, anche ai meno periti di economia.

5. Ma per poco che riflettiate al vero stato della quistione pratica, vedrete l'inopportunità dell'obbiezione. Qual è praticamente lo scopo dell'economista, quando ricerca gli agenti di produzione? Egli vuole determinare giustamente il valore dei prodotti in caso di permutazione. Or in tale caso il valore della materia è egli cresciuto per avere ricevuta, mercè le sue proprietà naturali, nuova forma dal lavoro umano, ed averla ritenuta? Il ferro p. e. in quanto ferro ha egli maggior valore perché ha accettato la forma d'ago o di molla? No certamente, e infatti se il compratore non ha bisogno di quella forma, quel ferro vecchio si rivende al prezzo di materia prima e nulla più: il qual prezzo nasce dall'attitudine a tale forma per effetto di sua natura; e questa appunto è la cagione per cui fu compro dal fabbricante. Se questi non l'avesse creduto buono a ritenere la forma d'ago o di molla, non l'avrebbe comperato: lo pagò unicamente, perché era dotato di tale altitudine. L'attitudine dunque di ricevere e ritenere la nuova forma è l'unica ragione di pagarlo, l'unica utilità che in esso si vuole comprare: senza essa quella materia sarebbe un peso, un ingombro inutile e il prezzo pagato pel ferro è l'equivalente di quell'attitudine a ritenere la forma. L'atto dunque di ricevere e di ritenere la nuova forma non è una utilità aggiunta, ma è un semplice esercizio di quella utilità, per cui la materia prima, il ferro, ha qualche valore; e tutto il soprappiù di valore nell'ago o nella molla, appartiene come effetto all'opera umana.

6. Parrà forse al lettore soverchia la nostra insistenza nello spiegare questa passività economistica della materia. Ma se egli richiama alla mente: 1° che l'economia cattolica dee somministrare al governante le giuste nozioni intorno agli agenti di produzione, affinché egli possa tutelare secondo giustizia i diritti di ciascuno; 2° che ciascuno ha diritto per natura ad essere proprietario delle sue fatiche, secondo che spiegammo citando in favore della proprietà le parole del Genesi: In sudore vultus tui vesceris pane; egli comprenderà che, dalla retta intelligenza di ciò che è attivo o passivo nell'opera della produzione, dipende in grandissima parte il retto ordinamento economico della società. E per contentarci di un solo esempio, basta citare quella sì dibattuta quistione dell'usura, i cui fautori ogni forza derivano dallo stabilire quel principio. Il danaro è per sè produttivo ossia è stromento di produzione. Fate che cotesto principio sia falso, supponete che il danaro sia materia e non istromento; e vedrete che tutto il loro argomento se ne va in fumo.
Siavi dunque raccomandato il principio teorico fin qui spiegato. La materia economicamente considerata è passiva, in quanto esercita bensì quelle forze per cui ha una utilità e quindi un valore, un prezzo: ma non produce utilità novella, e solo la riceve dal lavoro dell'uomo. Per conseguenza al lavorante è dovuto tutto il prezzo dell'utilità novella.

7. Da questa idea generale di materia è facile il passare ad un giusto concetto di ciò che, rigorosamente parlando, dee dirsi materia prima in economia, a fine di distinguerla dalla materia passiva in generale, della quale finora abbiamo ragionato, e con la quale certi economisti sembrano confonderla. Certamente se i prodotti sieno considerati relativamente ai successivi artificii, con cui l'uomo vi introduce a poco a poco quell'ultimo grado di utilità che rende la materia atta al sostentamento dell'uomo; in ciascun grado dell'artificio, la materia già lavorata può dirsi materia prima rispetto al nuovo artefice. Ma non potrà dirsi tale assolutamente se non quella che passa immediatamente dalle mani della natura nelle mani dell'uomo, per riceverne la forma artiticiale senza perdere la primigenia sua natura. Materia prima sarà dunque ogni frutto della terra, benché aiutato dalla coltivazione; ogni metallo usuale, benché estratto dalla miniera o purgato per industria metallurgica; materia prima la cacciagione e la pescagione; materia prima le mandrie e le greggi, benché abbiano costato fatiche assidue per raccogliere i preziosi doni dalla mano di natura. E le professioni che a tali produzioni si addicono, andranno annoverate in quella prima classe, che poc'anzi abbiamo nominata di produzione sostanziale.

8. Veggiamo benissimo che questa dottrina potrebbe venire contrastata da certi filosofi fisici, i quali, dimenticando un po' troppo le più universali idee del mondo sensibile, non veggono in natura se non traslocazioni accidentali degli elementi senza niuna produzione di sostanza novella: al che sembra alludere il Scialoia, quando in tutto l'operare di natura non sa vedere altro modo di produrre ricchezza, se non quei due che appartengono anche al lavoro umano, cioè traslocazione e trasformazione (4). Ma non crediamo opportuno al nostro soggetto l'entrare in coteste discussioni metafisiche intorno alla natura ed origine dei corpi, che da altra miglior penna verranno trattate filosoficamente a suo tempo. L'economista può aderire senza difficoltà a quel naturale sentimento del volgo, che non confonde la produzione di un albero o di un animale dal germe, con la produzione di un sorbetto nella sorbettiera o di una statua di gesso nella sua forma. E con l'indirizzo di questo senso comune potrà segnare una linea che divida limpidamente la produzione delle materie prime in generale, dalla produzione delle forme sopraggiunte: qualunque esser possa l'esistenza o il dubbio in certi casi singolari che sempre occorrono in simili classificazioni. Al qual proposito notisi bene che molte volte i prodotti si attribuiscono a lavoro umano, mentre sono veramente prodotto di natura, alla quale l'uomo porge semplicemente l'occasione di esercitare le sue forze. Così, per cagion d'esempio, la produzione della seta è opera di natura, benché dall'uomo si prepari ai bachi l'opportunità di formarla: opera di natura è il vino, benché l'uomo sia quello che pone la natura in condizione di fermentare quel liquore, dopochè egli lo ha spremuto: opera di natura è il lavoro fotografico, benché dall'uomo si apra l'accesso alla luce nella camera oscura. La natura dunque lavora sostanze, lavora trasformazioni, chiamata dall'uomo in suo sussidio. Ma nel primo caso aiutata dall'uomo ella produce materie prime, nel secondo aiuta l'uomo a modificare le sostanze già prodotte.
Detto fin qui della materia greggia, che forma la prima specie di fornimento economico (capitali) annoverata dallo Scialoia, diciamo ora due parole della seconda, nella quale egli annovera strumenti e macchine.

STROMENTO

SOMMARIO
1. La materia chiamata in sussidio dell'arte umana diviene stromento. – 2. Triplice valore dello stromento, – 3, medio fra forza e materia. – 4. Utilità meravigliosa dello stromento: – 5. anzi sua necessità. – 6. È materia attiva

1. Osservammo poc'anzi che due diversi intenti può prefiggersi l'operante, mentre adopera suo sforzo intorno alla materia; vale a dire o renderla atta immediatamente al proprio sostentamento (fine proprio, come vedemmo altra volta, del lavoro umano), o procacciarsi in quella materia così trasformata un sussidio, per la più facile esecuzione di altri lavori destinati poi al sostentamento. Chi cuoce la carne sulle brage, la prepara immediatamente a servirgli di cibo: all'opposto chi batte sulla forma una caldaia, prepara uno strumento per ottenere o migliore o più agevole l'alimento. Aiutato dagli stromenti, l'uomo ottiene col medesimo sforzo svariatissimi effetti, sì per la qualità, come per la quantità dei prodotti. Evvi dunque in quello stromento una nuova attività economica, utilissima all'artefice che la maneggia: attività diversissima da quella della materia, di che fu formato lo stromento e che ad ogni momento può essere messa in opera di produzione senza che lo stromento si distrugga; e però valutabile ad un prezzo suo proprio in ciascun momento, oltre il prezzo della materia che artificiata costituisce lo stromento medesimo. Attività, la quale abbisogna bensì dell'artefice che le dia il movimento, ma che produce per la forma sua propria un effetto diversissimo da quel movimento, che dalla mano dell'artefice passivamente riceve. Date in mano di lui tre righettoni di legno, una corda, una molla; quale uso avranno pel falegname? Nessuno affatto. Ma quando alla molla avrà con una lima aguzzati i denti; ed attaccatala ai due manici di legno l'avrà tesa con la corda contra il fusto; egli avrà ottenuta una sega atta a vincere durezze che altrimenti non potrebbe superare. Certamente non le supererà senza l'opera del suo braccio che muove quel ferro: ma e l'opera e il ferro produrrebbono alcun effetto, se alla lama non fossero aguzzati i denti? L'effetto dunque dello stromento è totalmente diverso e dall'opera del falegname e da quella del ferro.

2. Prima d'andare innanzi applichiamo il fin qui detto alla quistione del valore, ossia del prezzo che potrà meritare in pratica la materia ridotta a stromento.
Vedemmo altra volta che il valore permutabile può nascere e dall'essersi l'uomo appropriato, secondo il diritto concedutogli per natura dal Creatore, qualche parte della materia utile all'agiato sostentamento, o dall'avere intromesso in questa materia l'effetto delle sue forze, proprietà naturale e radice d'ogni altra proprietà. Qualsivoglia materia giustamente occupata, ha, come dicemmo allora, un valore proporzionato all'utilità, di che ella è naturalmente dotata. Evvi dunque nello stromento un primo valore, quello della materia greggia. Ma la materia non sarebbe stromento, se non vi fosse introdotta artificialmente una nuova forma utile a modificare la forza motrice. Questa nuova utilità donde nasce? Dal lavoro di chi fabbricò lo stromento. Ella è dunque proprietà del fabbricatore, a cui dovrà pagarsi il prezzo di quel lavoro, se si vuole possedere giustamente lo stromento. Ma osservate che il lavoro del costruttore ha ottenuto, mercè le proprietà della materia lavorata, due effetti: il primo che si terminò con la fabbricazione dello stromento, il secondo che continua ogni qualvolta lo stromento viene maneggiato dalla forza motrice. In due parti dunque può dividersi il prezzo dovuto al costruttore: la prima parte gli è dovuta per le forze impiegate nel lavoro, la seconda per l'utilità successiva da lui parimenti formata. Queste due parti il fabbricante le vende quando vende lo stromento. Ma se preferisse ritenere per sè lo stromento e cederne soltanto l'uso, ossia l'utilità successiva (come si fa nel prestito) di questa sola utilità dovrebbe chiedere il prezzo; ed è questo appunto che suole dirsi il nolo o la pigione: prezzo, come vedete, tanto inferiore a quello di vendita, quanto è minore il tempo del prestito, rispetto alla durata dello stromento.
Ci perdonerà il lettore se siamo entrati in queste minuzie, quando vedrà gli equivoci a cui dà luogo l'inesattezza delle idee in tale materia (5); proseguiamo per ora i nostri schiarimenti.

3. È dunque lo stromento un intermedio fra la materia lavorata e la forza lavoratrice. Questa è tutta azione, e però produttrice; quella è tutta inerte, e però senza produttività sua propria. La stromento che sarebbe economicamente inerte in questa materia, esercita però per la nuova forma una sua efficacia modificatrice della sforzo umano. Questa nuova attività è fondata bensì nelle doti della materia precedente (p. e. nella malleabilità e durezza del ferro, senza le quali doti la sega a non potrebbe farsi a non durerebbe all'usarsi); ma è tutt'altro che quelle doti medesime: è una vera aggiunta fattavi dall'industria umana.

4. Questa aggiunta potrà forse a prima vista, considerata così nella sega, nella zappa o in altro stromento semplice e primitiva, sembrare cosa da nulla, e però appena valutabile in economia: cotalchè il maggior valore aggiunto al ferro da quella forma, parrà doversi ripetere unicamente dal lavoro impiegato a trasformarla. Ma oltre che l'uso proprio dello stramento e il prezzo, a cui questo uso viene ceduto nel prestito, dimostrano che quella forma ha una utilità sua propria; essa diverrà non solo sensibile ed evidente, ma quasi por­tentosa, quando si consideri in quegli stromenti complicati e talora colossali, che prendono volgarmente il nome di macchine: l'attività delle quali è sì meravigliosa, che molte braccia, e talora anche molte intelligenze dovrebbero adoperarsi a fine di pareggiarne l'effetto. Quanti operai e quanta capacità ed attenzione in essi si richiederebbe per ottenere con uguale rapidità ed esattezza, mediante l'ago e la penna, i disegni delicatissimi che si ottengono nei tessuti dei telai alla Jaquard, o negli stampi delle mussoline! Tutta cotesta attività sta riposta, come ognun vede, nella forma artificiale di quella materia, che senza tale forma poco o nulla produrrebbe.
Qui dunque la materia è stata dall'uomo dotata di una vera attività modificante la forza motrice; attività talmente complicata e molteplice, che ad un solo impulso dato in una sola direzione dalla principale forza motrice (molla, animale, acqua, vapore ecc.) comunica l'attitudine di produrre effetti svariatissimi, come apparisce in un orologio, in un organo, in un filatoio ecc.

5. Domanderà il lettore, o piuttosto vedrà da sè medesimo quanta sia nella produzione la necessità dello stromento. Conciossiachè sebbene l'uomo riceva dalla natura nel nascere, stromento di tutti gli stromenti, la mano; che potrebbe egli fare con cotesto organo fragilissimo a fronte non che dei macigni, anche solo della terra che egli dee dissodare? Il primo e più rozzo istinto lo condurrebbe tosto a strappare di mano alla natura qualche primo e rozzo stromento, un tronco d'albero, una scheggia di macigno per sussidio ai tentativi iniziali; e cogli stromenti più rozzi andrebbe preparandone dei più forbiti, ammaestratovi dalla necessità e dall'intelligenza; tanto è il bisogno dello stromento all'opera umana!

6. Lo stromento dunque può dirsi economicamente la materia attiva, come il soggetto del lavoro fu da noi chiamato materia passiva (6). L'attività peraltro dello stromento non essendo se non modificatrice del movimento, presuppone l'esistenza di questo movimento medesimo, e però della forza motrice, come la forma dello stromento presuppone l'esistenza della sua materia, ossia della sostanza materiale. Le forze motrici dell'uomo e della natura sono dunque, come poc'anzi abbiamo detto, le vere e prime cause efficienti della produzione. Di queste ragioneremo fra poco: prima peraltro ci resta a dire della terza parte del fornimento produttivo, detto dallo Scialoia capitale circolante, o girante (7). Al quale, poichè consiste per lo più in numerario, o certo nei suoi equivalenti, abbiamo detto potersi ritenere in senso proprio il nome di capitale.

CAPITALE.

SOMMARIO
1. Non si nega necessario: – 2. ma sembra nella quistione un duplicato. – 3. Si conferma coll'esempio. – 4. La moneta è un puro succedaneo d'ogni altro mezzo; – 5. perché aiuto di permutazione.

1. E che un capitale sia necessario per ogni produzione, nessuno può dubitarne; essendo necessario, senza parlare adesso della manutenzione degli stromenti, che l'uomo viva se dee produrre, e però si sostenti; ed essendo necessarie a sostentarlo provvigioni preesistenti, poiché la produzione futura non può anteriormente alimentarlo.
Questo sostentamento può considerarsi e rispetto al produttore principale, il quale consuma per sussistere i frutti del lavoro precedente, e rispetto agli operai secondarii da lui chiamati in sussidio, ai quali si danno gli alimenti sotto nome di stipendio. La necessità di tale provvisione è talmente evidente, che non può cadere in mente a chicchesia il revocarla in dubbio: siccome neanche può dubitarsi che essa cooperi alla produzione, agevolando compre ed altre operazioni economiche necessarie all'opera del produrre.

2. Ma se niuno può negarne la materiale necessità, ben potrà dubitarsi se sia da buon filosofo l'annoverarlo tra i principii di produzione, unitamente alle forze e alle due specie di materia poc'anzi spiegate. In quanto a noi confesseremo candidamente che cotesto elemento ci sembra intruso in questa funzione per un materiale equivoco, in quanto si è scambiato l'apparecchio materialmente necessario coi principii realmente influenti della produzione.
Questa, quando voi abbiate materia operabile, forze operatrici, strumenti sussidiarii, ha tutti gli elementi necessarii a darle l'esistenza. La pecunia altro non è, come tutti sanno, in economia, che un equivalente permutabile di ogni altra mercanzia. Con questa ottenete la materia greggia, con questa ve la fate trasportare sopra luogo, con questa ottenete dal giornaliero che adoperi per voi le forze, con questa dal fornaio che vi dia il pane a sostentarvi. Quando dunque voi annoveraste tra i principii di produzione e il produttore e le forze (opera umana) e la materia prima in mano all'operario, già includeste tutte coteste spese. Il tornare ad annoverare il contante da spendere, egli è un ripetere i termini precedenti.

3. Questo si capirà anche meglio con l'applicazione concreta. Supponete che voi dimandiate ad un architetto la perizia per una fabbrica che meditate: egli vi dà la perizia come segue
Per pietre e mattoni…………1000
Per calce ed altri cementi…..500
Per legnami……………………2000
Per mano d'opera……………1000
Totale 4500
Nel ricevere questa perizia sareste mai così soro da credere che pel vostro edifizio sono richiesti tutti quegli elementi di materiali ecc., più la somma di 4.500 scudi? È chiaro che la moneta non è qui altro che un mezzo per avere quegli elementi: ottenuti questi, quella non entra più nel calcolo.
Sembraci dunque doversi lasciare al computista del produttore il calcolare quanta spesa sarà necessaria in tanti giorni di lavoro per mantenere gli operai, e quanto costerà sopra luogo la materia da somministrarsi per una data produzione. Ma pel filosofo che ricerca i principii della produzione, non sembra potere entrare in calcolo il capitale (moneta), il quale altro non è che un equivalente per ottenere tutte le altre cose. Quando diciamo necessarie alla produzione le forze dell'uomo, è chiaro che supponiamo l'uomo vivente: quando diciamo necessaria una materia, intorno a cui lavori, la supponiamo posta sotto la mano dell'operaio: quando diciamo necessarii gli stromenti, li supponiamo interi e forbiti, non rotti, rugginosi, spuntati. Or queste sono le provvigioni veramente richieste alla produzione e all'effetto pienamente bastevoli. La giunta dunque del capitale moneta è filosoficamente una pura ripetizione degli elementi già annoverati.

4. La stessa verità che può chiarirsi anche sotto l'altro aspetto partendo da quel principio notissimo che la moneta, benché in quanto metallo sia una merce, in quanto moneta altro non è che un veicolo di valori destinato ad agevolare le permutazioni: le quali non sono ultimate se non quando con una merce si è ottenuta un'altra merce. Se non fosse difficile il trasporto e l'equivalenza delle merci, non vi sarebbe alcuna necessità della moneta nel commercio. Se dunque voi supponete di avere già in pronto tutti gli elementi e passivi e attivi della produzione, quale bisogno avrete più di moneta, se questa ad altro non giova che a procacciarveli?

5. Sembraci dunque evidente che solo per equivoco venne essa annoverata fra i fattori della produzione insieme con quei principii che direttamente e immediatamente v'influiscono. Si fece in questo una speciale applicazione di un generale principio che sempre va sottinteso in tutte le operazioni economiche; le quali appartenendo sempre in qualche modo al genere delle permutazioni, sempre trovano una agevolazione nella moneta come veicolo dei valori, come la trovano in qualunque veicolo delle materie. Ogni permutazione dee trasportare le merci permutate dalla mano dell'offerente a quella del domandante. Si è egli mai pensato per questo ad annoverare il carretto o altra vettura fra gli elementi della permutazione? S'intende, che quando voglio permutare il mio frumento con la tua seta, tu devi portarmi la tua seta dalla tua bigattiera, io dai miei granai il mio frumento. Ma questo trasporto preriquisito alla permutazione potrà essere talvolta una spesa pel permutante; ma non è un fattore, un costitutivo del Cambio.
Or questo appunto ci sembra doversi dire della moneta rispetto alla produzione: ad ogni produttore ella è necessaria per accumulare gli elementi di produzione, ma non può dirsi parte di cotesti elementi.
Quello che veramente potrà dirsi fornimento di produzione è dunque soltanto la materia passiva, intorno alla quale si deve lavorare, lo strumento, senza il quale non si potrebbe lavorare. Ponete cotesta materia e passiva e attiva in mano dell'operaio, ossia della forza, ed avrete tutto ciò che è necessario per ottenere l'utilità che volete produrre. Perciò dopo aver parlato del fornimento materiale, resta che trattiamo dei veri agenti di produzione che sono strettamente parlando, le forze naturali e le forze umane.

NOTE

1) Laonde non ci sembra vero ciò che dice il FAUCHER (Dict. d'Écon. pol. V. Intéret p. 963) Quand'on emprunte de l'argent, ce n'est pas précisément le métal que l'on veut posséder, c'est la valeur qu'il réprésente. Quando si vuole fare una compra (p. e. di un diamante), gli è proprio il danaro che si vuole, il metallo coniato. E se altri vi offerisse in prestito cento sacchi di grano, voi non gli accettereste, essendo sicuro che non gli accetterebbe in paga del diamante il gioielliere.

2) Ma non avendo attentamente distinto la cooperazione passiva dalla produzione attiva, egli pronunzia poi con una formola almeno equivoca che la materia, di qualunque qualità ella sia, è produttiva (Discorso sulla partizione delle ricchezze capo VII p. 349); e ne inferisce tosto che una materia accumulata potrà avere i frutti. Ma se ricordasse che il suo unico modo di agire è una cooperazione gratuita (ivi, produzione delle ricchezze c. III, p. 15), avrebbe veduto non essere giustizia il far pagare cotesta gratuita e passiva cooperazione.

3) Sez. prima, cap. V, §. III, n. 54.

4) Principii Sezione prima c. IV, parag. III .

5) Per ora notiamo soltanto l'improprietà del vocabolo, con cui da certuni si dice stromento la terra, stromento il telaio. Se stromento è una materia lavorata dall'uomo, affinché modifichi nel lavoro l'effetto delle forze umane, io capisco che il telaio è veramente una macchina, uno strumento. Ma quando la terra produce all'uno fieno, all'altro fromento, può egli dirsi che la terra riceve il movimento dal braccio umano e ne modifica nell'effetto la forza?

6) Consente in questo anche lo Scialoia (Principii: Estratto ragionato sez. I) I capitali… non possono che, o come strumenti concorrervi (alla prodnzione), o come materia, essere trasformati o spostati. Non sappiamo però come la materia, che non può fare altro che lasciarsi trasformare, venga ivi detta agente di operazioni produttive.

7) Preghiamo il lettore a non dimenticarsi delle osservazioni fatte da noi nel volume precedente (pag. 653 e segg.) ove abbiamo distinto nel fornimento produttivo la materia prima, gli attrezzi, il numerario.